Che Pasolini abbia scritto qualche canzone è cosa ormai abbastanza nota, tra specialisti e non. Tuttavia, come per ogni fatto che riguarda il poeta e regista bolognese, si è consolidata anche in quest'ambito una vulgata che conduce vagamente fuori strada. Sul Pasolini paroliere la versione facilior prevede due assunti: il primo, che quando abbia scritto per musica abbia scritto con la mano sinistra, per così dire, come mero divertissement estemporaneo svincolato da ogni reale intento poetico; il secondo, che la sua produzione per musica si limiti al Valzer della toppa portato al successo da Gabriella Ferri e a Cosa sono le nuvole di Domenico Modugno. Le lyrics pasoliniane più note e celebrate, certo, ma non le uniche.
Il senso della musica, in Pasolini, è in realtà connaturato al senso stesso della poesia; per questo, nella sua opera, la musica è ovunque, attraversando non solo la parabola dell'autore dalla giovinezza alla scomparsa ma anche tutte le arti letteratura, cinema, teatro, saggistica, ricerca etnoantropologica da lui sperimentate. Esistono un paio di bei libri omonimi che ricostruiscono la relazione da una prospettiva musicologica, uno di fine anni Novanta di Roberto Calabretto che indaga soprattutto l'aspetto cinematografico (Pasolini e la musica, Cinemazero 1999) e un altro recente di Claudia Calabrese (Pasolini e la musica, la musica e Pasolini, Diastema 2019).
A mancare finora, paradossalmente, è stata invece proprio una prospettiva letteraria sulla faccenda e chi scrive ha provato a occuparsene prima dal punto di vista della ricezione all'estero nel saggio Poesia in forma di Rock. Letteratura italiana e musica angloamericana (Arcana 2016) e poi nel capitolo di una tesi di dottorato di prossima pubblicazione tra le università di Roma Tre e Cambridge; vale a dire, collocare questo corpus di circa quindici-venti liriche all'interno dell'opera pasoliniana per comprendere come e perché esse dialoghino con la produzione maggiore.
C'è da dire in primis che Pasolini era dottissimo anche musicalmente, aveva studiato violino e pianoforte fin da bambino sia privatamente sia presso il ginnasio di Reggio Emilia. Di qui il vero punto di partenza, che riconduce all'esperienza giovanile dell'Academiuta di lenga furlana a Casarsa, piccola grande officina capace di forgiare una sorta di èpos friulano artisticamente accessibile a tutti, nella quale il poeta poco più che ventenne inizia a comporre vilote, componimenti poetico-musicali popolari d'origine veneta affini al primo Lied tedesco e alla villanella, insieme a due sodali d'eccezione: l'amica violinista Pina Kalz e soprattutto la futura grande poetessa e traduttrice Giovanna Bemporad, scappata dal ferrarese con la famiglia a causa delle persecuzioni razziali. L'esperienza è concisa, dal 43 al 44, ma decisiva poiché costituisce una stagione di felicità intellettuale che avrebbe in seguito ispirato le trasfigurazioni narrative di Amado mio e Atti impuri. Lezioni di latino, greco, musica e letteratura, passeggiate filosofiche, discussioni sul dialetto: attraverso il sogno d'una arcadia umanistica a contrastare la violenza della guerra, il giovane autore sembra quasi tradurre in realtà l'impianto di quel Decameron che avrebbe dopo trasformato in una delle sue pellicole di maggior successo.
Il secondo momento contrassegna invece l'arrivo a Roma e il viscerale incontro col sottoproletariato urbano. Roma: Canzoniere 1950, appendice del racconto Le notti calde (confluito in Alì dagli occhi azzurri), attesta alcuni tra i primissimi scritti nella capitale e include «testi fatti apposta per essere musicati», come indicato dall'autore stesso e come giustamente sottolineato anche dalla cugina ed erede Graziella Chiarcossi nell'importante disco Le canzoni di PPP (Nota, 2009) ad opera di Aisha Cerami, Nuccio Siani e Roberto Marino, cui va il merito di aver messo in musica anche questi testi. Prendono così vita e corpo Tango de li sette veli, Beguine, Bounce Tempo, Avevo quindic'anni, Fascino e Ay desesperadamente, titoli con buona probabilità sconosciuti ai lettori ma invece piuttosto significativi per sentire ciò che Pasolini sentiva appena giunto nell'Urbe, preludio rivelatore di tutto il tessuto linguistico e stilistico dei suoi romanzi romani, Ragazzi di vita e Una vita violenta in testa, nonché dei suoi primi lungometraggi Accattone e Mamma Roma.
È sempre Roma il teatro della successiva e decisiva tappa, l'incontro con Laura Betti, che sarebbe divenuta l'amica di una vita e l'animatrice della caleidoscopica pièce musicale Giro a vuoto (1960), applaudita persino da André Breton e Stravinskij, emblema del lato sotterraneo e dissacrante della Dolce Vita, con testi per musica realizzati da Flaiano, Parise, Moravia, Fortini, Arbasino, Buzzati e addirittura Calvino, l'élite della letteratura italiana del tempo. Pasolini è tra i principali promotori dell'iniziativa e contribuisce con Macrì Teresa detta Pazzia, Cristo al Mandrione, Ballata del Suicidio, la celebrata Valzer della toppa e Marilyn, commento poetico sonorizzato da Marcello Panni poi inserito nel documentario La rabbia con la voce di Giorgio Bassani.
Sembrerebbe chiudere il cerchio la già citata Cosa sono le nuvole di Modugno, splendido centone shakespeariano che PPP riprende dalla traduzione di Salvatore Quasimodo, per l'omonimo episodio diretto da Pasolini in Capriccio all'italiana (1967) interpretato da Totò e Ninetto Davoli, dove il cantautore di Polignano a Mare canta anche i titoli di testa scritti da Pasolini e musicati da Ennio Morricone. Compaiono invece in extremis, e questi sì piuttosto inediti, due brani per la colonna sonora del film Sweet Movie (1974) di Makavejev su musiche del compositore Premio Oscar Manos Hadjidakis, adattati con l'aiuto di Dacia Maraini: I ragazzi giù nel campo e C'è forse vita sulla terra?, l'uno strettamente apparentato coi tormenti corsari e le illuminazioni luterane degli ultimi anni, l'altro testimonianza di quella disperata ma sempre dinamica vitalità che non smise mai di caratterizzare il poeta.
Di molto altro si dovrebbe parlare a proposito del Pasolini musico, a partire dall'influenza che anche questi esperimenti hanno avuto su De André, De Gregori, Endrigo, Baglioni e tanto
cantautorato nostrano, valicando i confini nazionali e approdando fino a Patti Smith, Scott Walker e Morrissey degli Smiths, per vie iperboliche che dal Novecento italiano continua a riuscire ad aprire di fatto solo lui.
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