Quello che mi colpisce nel nuovo libro di Rosita Copioli (Le acque della mente, Mondadori, pagg.144, euro 18) è la complessità e la varietà dell'ispirazione: l'autrice, coltissima, con una accentuata consapevolezza critica dei propri strumenti, spazia su tanti temi e si misura con tanti stili, alternando una volontà quasi didatticamente prosastica a un lirismo acceso dalla forza della metafisica. Copioli, nata in Romagna e formatasi nella Bologna di Luciano Anceschi, ha compiuto un itinerario esemplare nel corso della sua attività. È partita da una visione della poesia dominata da una luce estatica e classica, con un libro come Splendida lumina solis, del 1979. Ricordo ancora quando Anceschi me ne parlò per la prima volta, chiedendomi di scriverne la prefazione, con una ammirazione guardinga e stupita. Copioli si poneva già subito fuori da ogni sperimentalismo ideologico e da ogni scuola. Oggi appare attenta a temi storici, politici, sociali in un linguaggio irrobustito da innesti saggistici prima ancora che narrativi. Lo mostrano le poesie contenute in I cancri del Novecento, con un caldo omaggio a Ivan Illich (e a Hannah Arendt) dove leggiamo che « tutto ciò che è/più atrocemente stupido / ama replicarsi». Così che lo sguardo della poetessa non può non andare ai nuovi cancri del XXI secolo, con un attacco frontale al terrorismo islamico «una Folie/esplosiva e assolutamente frivola/come sono i kamikaze», che esibiscono «una santità impudica contro l'uomo». Rosita Copioli , coraggiosa come una delle eroine di Yeats, ha toni rivendicativi che raramente sentiamo oggi in bocca a poeti: «Faccio ancora parte/di chi lottava per l'amore, con onore». Anche l'identità cristiana e lo stesso nome di Cristo vengono rivendicati nel libro con una dolcezza severa. La natura ritorna nelle poesie dedicate agli animali e alla meraviglia della loro vita.
Il tema dell'eros trova il suo apice nel testo intitolato No e sì, una straordinaria fenomenologia carnale e spirituale del
possesso e dell'appartenenza in amore. Ed è massimamente nel lungo componimento conclusivo Ambra, tempo, che la poetessa ritorna a quella passione cognitiva, mistica, metafisica che la distingue e ne determina la grandezza.
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