Se fino alla caduta del muro le istanze dei Paesi poveri in cerca di una fetta di benessere erano interpretate (strumentalmente) dall'Unione Sovietica, ora alla guida di queste aspirazioni c'è l'Islam, che vede nel capitalismo e nella cultura occidentale il male assoluto ed è pronto a sfruttare a proprio vantaggio ogni minimo segnale di rivolta. Questa la tesi di Emanuele Severino in Il tramonto della politica. Considerazioni sul futuro del mondo (Rizzoli, pagg. 277, euro 20). Che però avverte: Stati Uniti e Urss avevano costituito un duumvirato che controllava il mondo tenendolo in equilibrio. La Guerra fredda era un sistema nel quale nessuno dei contendenti intendeva prevalere sull'altro, ben sapendo che uno scontro finale avrebbe determinato la distruzione di entrambi. Pertanto il loro scopo era conservativo. Una pax technica fondata sulla forza deterrente dei rispettivi arsenali atomici. Per l'Islam è diverso: il suo scopo è conquistare l'Occidente, e dunque arrivare allo scontro finale. Perciò l'Islam è molto più pericoloso. Naturalmente, guerre come questa si vincono attraverso una competizione per la supremazia tecnologica. Per ora l'Occidente dispone di un considerevole vantaggio. Ma in futuro? In quanto critico del proprio passato (che nasce con la modernità), l'Occidente è debole, osserva Severino. In quanto fede nella propria tradizione, l'Islam è forte. L'Islam ignora l'atteggiamento critico in cui consiste la modernità. D'altra parte, l'abbandono della tradizione ha consentito in Occidente lo sviluppo della scienza e della tecnica. Ma, essendo la tecnica il mezzo più potente, anche il mondo islamico intende servirsene.
Ora, lo sviluppo tecnico-scientifico è legato alla possibilità di finanziarlo. Non solo. Dipende soprattutto dall'accettazione di un principio: essere disposti a tutto. Pertanto a vincere sarà chi non porrà limiti alla ricerca scientifica e allo sviluppo tecnologico, chi si consacrerà interamente a essi. Severino ricorda come in Unione Sovietica l'ideologia politica abbia spesso rappresentato un freno al progresso anche in campo scientifico. Alla lunga però questa corsa indiscriminata finirà per trasformare la tecno-scienza da mezzo in fine, ossia in un nuovo credo il cui scopo sarà l'incremento ad libitum della potenza della tecnica stessa. In altre parole, una volontà di potenza trascendente non più controllabile dall'uomo. Dunque, la tecnica (ossia la capacità di produrre mezzi in vista di fini) finirà per prendere il sopravvento sulle forze (capitalismo, marxismo, politica, economia, religioni) che l'hanno sostenuta nella convinzione di potersene servirsene per i propri scopi. Oggi questo apice di potenza è rappresentato dagli armamenti nucleari e dalle biotecnologie, per questo è così importante la battaglia che si combatte su quel terreno. In una prospettiva di lungo periodo, secondo Severino, la tecno-scienza risolverà molti dei problemi che affliggono l'umanità. Ma per ora è uno strumento per prevalere sui propri avversari e al tempo stesso mezzo che si ribellerà ai propri creatori. Sarà il trionfo della tecno-scienza a condurre al tramonto non solo il capitalismo ma anche tutte le altre ideologie e fedi che si sono contese il campo finora. Perché una cosa è certa: il progresso è qualcosa d'inarrestabile, essendo insito nella natura umana. Tutto ciò che gli uomini sono in condizione di fare, prima o poi lo faranno. In definitiva, per Severino sarà la tecnica a salvare l'Occidente, indipendentemente dalle razze e dai popoli che in futuro lo abiteranno, dal momento che la massiccia immigrazione cui assistiamo cambierà significativamente la composizione demografica del Vecchio continente. Sarà comunque la struttura del mondo occidentale a prevalere, la sua visione del mondo.
Quanto al ruolo odierno dell'Europa, Severino ha le idee chiare. Attualmente, essa è politicamente retta da un direttorio (Francia, Gran Bretagna, Germania), del quale l'Italia ambisce a far parte, venendone però tenuta ai margini. Per questo il nostro Paese guarda con favore alla Russia, scorgendo nelle relazioni privilegiate che intrattiene con essa un'arma per ritagliarsi un ruolo di primo piano. L'Europa difatti, nonostante la crisi, è ricca ma debole. Ha negli Usa un partner che però la tratta da ancella. Sarà sempre più naturale per gli europei guardare alla Russia come forza in grado di ristabilire un equilibrio nei rapporti con gli americani. Lo scenario dunque che si prospetta, secondo Severino, è il seguente: in un futuro non troppo lontano la vecchia Europa potrà continuare a produrre ricchezza sotto l'ala protettrice della Russia, che ne sarà il braccio armato; questo però non in un'ottica di contrapposizione con gli Usa ma di riequilibrio dei pesi.
Riguardo alla politica intesa come arte del governare, avverte Severino, essa «tramonta perché, quando non si rassegna alla propria dipendenza dal capitalismo, si illude di poter guidare il capitalismo, ossia ciò che è destinato al tramonto». Frase scelta, tra l'altro, per illustrare il libro in quarta di copertina. Ora, siccome i testi di copertina servono anche a vendere copie, dobbiamo dedurre che un tale annuncio rappresenti per molti (di certo per gli estensori dei testi di copertina) un potente richiamo. A parte l'evidente forzatura (per Severino non solo il capitalismo sarà sconfitto dalla tecnica ma ogni altra forza in campo), risulta arduo comprendere i tanti intellettuali nostrani che sognano la fine del capitalismo. Innanzitutto, è difficile credere alla loro sincerità. È più probabile che a muoverli siano altre motivazioni. Primo, collocarsi a fianco della sinistra radicale li fa sentire migliori, perché equivale sulla carta a schierarsi dalla parte dei più deboli: una posizione che dopotutto non costa nulla sul piano pratico dal momento che tutti sanno che il tempo delle rivoluzioni è finito (almeno nel breve e medio termine). Secondo, costoro pensano di certo a se stessi come futura intellighenzia, in una ipotetica società senza più capitalisti, capace di coronare il loro sogno di essere mantenuti negli agi dalla Stato. Sicuramente non si vedono a ingrossare le fila del popolo finalmente livellato. Dunque, la loro rimane una posizione astratta e di comodo. Ma soprattutto antistorica. L'Occidente è sempre stato capitalista, essendosi costruito sulle fortune individuali, sullo spirito d'iniziativa e le coscienze dei singoli.
Senza contare che non esiste un altro sistema capace di sorreggere le smisurate aspirazioni dell'Occidente, la sua fame di benessere, sicurezza, giustizia, libertà, welfare, democrazia (tutte cose che costano parecchio). Bisogna pertanto che i detrattori del capitalismo si rassegnino. In fondo i poveri sognano di diventare ricchi e non che tutto il mondo diventi povero.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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