Da un po' di anni, Hollywood ha iniziato una campagna a favore dell'integrazione e del politicamente corretto. Tanto da condizionare anche le candidature ai premi Oscar. Ormai assistiamo a film e cartoni animati fotocopia, attenti a rispettare il Manuale Cencelli dell'inclusione. Il tutto, a prescindere da quello che voglia realmente vedere la gente. Ed ecco che arrivano, su Netflix, 365 giorni e 365 giorni: adesso, due film che fanno riflettere e non poco.
Sinteticamente, dalla trilogia letteraria (si fa per dire) scritta dalla polacca Blanka Lipinska, sono usciti, per ora, i primi due adattamenti cinematografici. La storia? Laura, una turista polacca in ferie in Italia, non viene sedotta, come da copione, da un «manzo» italiano, tal Massimo, beato lui senza un filo di grasso, con addominali scolpiti e sorriso 32 denti. No. La donna viene rapita, perché Massimo è un mafioso, figlio di un boss appena ucciso dalla famiglia rivale e, da noi, evidentemente, si usa fare così, secondo la scrittrice (si fa sempre per dire) polacca.
Rapitore sì, ma dal cuore d'oro. Se lei non si innamorerà di lui entro un anno, la lascerà libera. La poverina è costretta a macerarsi nel dubbio in una villa lussuosa, tra vestiti firmati e feste esclusive. E lei, drogata, rapita, abusata da questo macho sempre in calore e, quindi, per la maggior parte del tempo svestito, tartaruga al vento, che fa? Cerca di ucciderlo alla prima occasione? Certo che no. Si innamora, ovviamente, e molto prima del trascorrere dell'anno.
Da quel momento, inizia il campionario del sesso sfrenato, perché i due lo fanno continuamente, in ogni posto. Lui le fa ripassare il Kamasutra «slogandola» in tutte le posizioni, lei per Natale gli regala dei sex toys e si fa incatenare. Per la maggior parte del tempo sono nudi o svestiti e, nel secondo episodio, giusto per variare un po' il tema, arriva anche l'amica di lei che fa sesso, in ogni dove, con il fido braccio destro di lui. Insomma, la risposta polacca alle 50 Sfumature, ma molto, molto più ridicola, con dialoghi e recitazione che, al confronto, la famosa telenovela piemontese di Mai dire goal era da Oscar.
Un manifesto del machismo e della donna oggetto, sublimato da una povera hostess costretta, dal mafioso e dal copione, a fargli una fellatio violenta, con tanto di sguardo di lei compiaciuto, mentre ritorna in cabina. Alla faccia del MeToo e di tutti gli ultimi anni di battaglie femministe. Ah, lui è un boss, ma potrebbe essere anche un rappresentante di piastrelle visto il tempo passato tra le lenzuola.
La trama? Un intermezzo tra un accoppiamento e l'altro. Il primo film finisce con lei che entra in macchina in un tunnel, incinta. Si intuisce che le sia successo qualcosa di brutto, forse un attentato. Cosa? Boh, visto che il secondo film, da poco su Netflix, apre con lei che sta benissimo, vestita da sposa, che si accoppia con il futuro marito, senza un briciolo di spiegazione. E, anche nel sequel, fanno sesso continuamente. Il massimo del trash? Su un campo da golf. Lei prima si struscia sulla bandierina della buca, poi si sdraia gambe aperte in attesa che lui, dopo aver alzato la mazza (giusto per non far sottintendere nulla), mandi la pallina proprio in quella buca naturale.
Con tanta solidarietà per i due belloni scelti come protagonisti, Anna-Maria Sieklucka e Michele Morrone. È il film più (stra)visto su Netflix. Alla faccia del politicamente corretto di Hollywood e dei social che stavolta, stranamente, non si sono indignati.
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