Prey, nuovo capitolo di Predator: quando la caccia non fa più paura

Prey è il nuovo capitolo della saga incentrata sull'alieno Predator, che porta avanti un vero e proprio ribaltamento del punto di vista

Prey, nuovo capitolo di Predator: quando la caccia non fa più paura

Debutterà il 5 agosto su Disney+ il nuovo capitolo della saga di Predator, inaugurata nel 1987 dal film omonimo di John McTiernan che vedeva come protagonista Arnold Schwarzenegger. La trama era incentrata su un alieno che giungeva sulla Terra per dare la caccia agli umani e ucciderli: dunque, un vero e proprio predatore. Prey, il nuovo capitolo della saga, rappresenta una sorta di prequel del film capostipite. La storia, infatti, è ambientata circa trecento anni fa, nel pieno della Nazione Comanche, dove il vero mezzo di sostentamento è la caccia. Naru (Amber Midthunder) è una giovane cacciatrice che vuole dimostrare le proprie capacità sul campo di caccia. Quello che la ragazza non può immaginare è che lei stessa - insieme al suo popolo - finirà col diventare la preda (da qui il titolo dell'opera) di un alieno che la sfida utilizzando una tecnologia ben più avanzata rispetto alle armi Comanche.

Prey: il ribaltamento del punto di vista

La prima cosa che salta all'occhio guardando Prey è come la sceneggiatura di Patrick Aison abbia cercato di portare lo spettatore davanti a quello che è chiaramente un ribaltamento di prospettiva. Sebbene in tutta la saga di Predator sia stato messo l'accento sulla capacità degli esseri umani di resistere per la propria sopravvivenza, il centro narrativo era sempre quello del predatore da sconfiggere, del predatore alieno che costringeva gli altri a scappare per cercare di trovare un modo per fronteggiare la minaccia. Con Prey questa struttura narrativa viene rimaneggiata: la vera protagonista della pellicola, infatti, è la preda. Tuttavia, per la prima volta, la preda è anch'essa abituata alla caccia, esperta nel seguire le tracce per abbattere il proprio bersaglio. E sebbene nello scontro tra Predator e Naru ci sia un dislivello tecnologico che potrebbe far pensare alla battaglia biblica tra Davide e Golia, a fare la differenza è proprio il modo in cui le prede reagiscono a Predator. Non sono più degli esseri umani costretti alla fuga dalla paura e dall'incapacità di concepire quello che sta accadendo: bastare guardare Prey con attenzione per notare il modo in cui i cacciatori non scappano né distolgono lo sguardo. La paura, in questo film - come sempre, paura dell'ignoto, di ciò che è esterno ed estraneo - viene in qualche modo abbracciata e per la prima volta preda e predatore sono sullo stesso livello, riconosciuti come due eguali.

Questo ribaltamento del punto di vista permette al regista Dan Trachtenberg di realizzare una pellicola dove, sebbene l'azione sia sempre presente sullo schermo, i veri protagonisti sono i lunghi silenzi che nascono durante la caccia, quando la natura diventa teatro di una possibile carneficina. Prey infatti è un "film d'azione" sui generis, che si prende tutto il suo tempo, che si dilata nella costruzione dell'attesa e della minaccia. È un film a tratti lento, silenzioso, rarefatto: ma niente di tutto questo intacca la riuscita dell'opera.

Forse non è la più adatta per chi ama l'azione roboante ed esplosiva, ma nella costruzione di questa caccia Dan Trachtenberg realizza un teatro elegantissimo, con un'atmosfera inquietante e bellissima al tempo stesso che, già da sola, meriterebbe il tempo di una visione.

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