Quando i russi provarono a diventare veri liberali

Fra il 1905 e il 1921 i "costituzionali democratici" emigrarono a Parigi per fare sentire la loro voce

Quando i russi provarono a diventare veri liberali

Un finissimo studioso del mondo slavo e della storia russa come Wolf Giusti (alla cui memoria e antica amicizia sono rimasto affettivamente legato) ricordava in una sintetica ma molto bella Storia della Russia del 1975, che questo Paese ebbe i suoi primi partiti politici organizzati agli albori del Novecento, quando comparvero nell'universo politico russo raggruppamenti precisi: i marxisti, i socialisti-rivoluzionari che riprendevano temi e metodi di lotta propri del populismo, gli «ottobristi» e, infine, i «cadetti» (così chiamati dalle iniziali K e D, «costituzionali» «democratici»), cioè i liberali. Questi ultimi erano, in gran parte, espressione della borghesia del tempo, del ceto medio-alto che era rapidamente cresciuto nell'ultimo scorcio del secolo precedente. Volevano eliminare i residui «autocratici», pensavano almeno all'inizio a una monarchia di tipo costituzionale e intendevano trasformare la Russia in uno Stato simile a quelli dell'Europa occidentale. Peraltro la tendenza «libertaria» era nata proprio come costola aristocratica della vecchia autocrazia nel senso che i suoi esponenti più significativi erano personalità in qualche modo entrate in contatto con il pensiero europeo - segnatamente l'illuminismo francese, l'idealismo tedesco, il liberalismo inglese - ma rimaste nella cerchia di potere legata allo zar. Durante la stagione rivoluzionaria e con la fine dello zarismo, la maggioranza dei «cadetti» finì per accettare la repubblica anche nell'ottica di una modernizzazione della società russa. Il che, per inciso, mostra come il liberalismo russo abbia potuto svilupparsi attraverso un processo di coesistenza, sia pur competitiva, fra anime liberali diverse, progressiste e conservatrici.

Alle vicende, spesso intricate, del liberalismo russo nei primi anni Venti del secolo scorso è dedicato un pregevole saggio di una studiosa di storia dell'Europa Orientale, Renata Gravina, dal titolo La libertà fuori dalla Russia (Edizioni Nuova Cultura, pagg. XXVI-308, euro 32) con una prefazione di Roberto Valle. Si tratta di un lavoro che, sviluppato attraverso un approccio di tipo multidisciplinare lungo un asse che va dal pensiero politico alle relazioni internazionali, offre spunti e materiali utili per riflettere anche sul presente, in particolare sulle discussioni, spesso capziose e mistificatorie, che riguardano il «liberalismo di Stato» teorizzato da certi sostenitori di Putin e quello dei suoi avversari bollato come pseudo liberalismo.

Il saggio della Gravina ricostruisce dapprima, rapidamente ma con precisione, l'evoluzione del complesso e variegato mondo culturale del libertarismo e liberalismo russo dalle origini agli albori del Novecento, poi concentra l'attenzione sulle vicende politico-ideologiche dei «cadetti», il partito costituzional-democratico, per passare, infine, allo studio dell'emigrazione liberale russa a Parigi fra il 1905 e il 1921, dedicando però ampio spazio all'epoca della conferenza della pace e della guerra civile nella Russia ormai divenuta comunista.

Per l'autrice è fondamentale la distinzione fra «libertarismo» e «liberalismo democratico», poi assunto come ideologia del partito dei «cadetti», per spiegare il fenomeno della transizione dei pensatori libertari «da componente ausiliaria all'autocrazia ad antagonisti del potere», favorita dalla «pressione crescente del radicalismo sociale» e dalla «ostinazione dello zar nel negare qualsiasi partecipazione delle élites alle riforme politico-sociali». In effetti Nicola II non volle stabilire un rapporto solido e duraturo con il movimento liberale, anche perché considerava fuori della storia il progetto di riforma costituzionale dei «cadetti», che era stato redatto da Pëtr Struve, un economista e giurista transitato da un iniziale marxismo ortodosso, ma deluso dalla rivoluzione del 1905, al liberalismo dei «cadetti» con una declinazione che affidava un ruolo fondamentalmente pedagogico all'intellighentia. Peraltro è anche vero - ed è probabilmente questo uno dei motivi dell'insuccesso politico del movimento e, più in generale, di una prospettiva politica liberale in Russia - che al suo interno coesistevano almeno due linee sostanzialmente inconciliabili, l'una moderata e conservatrice, l'altra radicale e rivoluzionaria.

Per una serie di ragioni, legate anche ai rapporti tra Francia e Russia, di fatto Parigi divenne il centro, il fulcro della emigrazione liberale russa. Questa cercò proprio negli ambienti intellettuali e politici francesi una sponda, soprattutto negli anni compresi fra il 1918 e il 1921, per pianificare una azione militare internazionale contro il potere bolscevico. Lì, nella capitale francese, si materializzò il tentativo di portare «la libertà fuori dalla Russia» ovvero anche quello di creare una «Russia fuori dei confini» che fungesse, almeno a livello simbolico, da emblema o da punto di riferimento di una «Nuova Russia» libera e democratica. Questo gruppo di emigrati, in nome appunto della «libertà fuori della Russia», coltivava il progetto di un ordinamento costituzionale che si ponesse come vera e propria alternativa legale al bolscevismo e alla «legittimità rivoluzionaria» cui questo faceva riferimento.

I liberali russi emigrati, che annoveravano tra le loro file pensatori e giuristi di rilievo, non si limitarono a elucubrazioni teoriche e a incontri semiclandestini. Essi, infatti, tentarono di operare sul terreno concreto. Nel 1919 per esempio cercarono di influenzare le conclusioni della Conferenza di pace in corso a Parigi attraverso i lavori della Conferenza Politica Russa promossa dal giurista e politico Vasily Maklakov, con l'obiettivo, come osserva l'autrice, di «coniugare la rappresentanza militare della Russia bianca e l'antibolscevismo dei partiti politici». In ogni caso essi contribuirono a porre all'attenzione internazionale, e del presidente americano Wilson, l'esistenza di un vero e proprio «problema russo» sul campo internazionale.

Intrecciando storia fattuale, storia delle relazioni internazionali e storia delle idee, il volume di Renata Gravina affronta un tema poco frequentato dalla storiografia tradizionale, ma importante per capire anche la

sostanza della politica attuale della Russia e la difficoltà congenita di questo Paese a far propria quell'idea di libertà che, nel 1905, il filosofo Nikolaj Berdjaev aveva sostenuto che avrebbe dovuto orientare la rivoluzione.

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