Quando René Daumal diede la scalata (infinita) al Monte Analogo

Torna con alcuni testi inediti un libro di culto: il racconto di un'esperienza interiore "illuminante"

Quando René Daumal diede la scalata (infinita) al Monte Analogo

Quella virgola non è una virgola, è un abisso. Uno sperone di roccia, l'attimo prima della frana, l'ostia del condor. Il Monte Analogo di René Daumal (ora in «nuova edizione riveduta e ampliata», Adelphi, pagg. 143, euro 18) termina così, sulla soglia di una virgola, «Senza di loro, una quantità di piante che hanno molta importanza nella fissazione dei terreni mobili,». Eccola, la virgola, il bivio della prova. Lui, René Daumal (Boulzicourt, 1908 - Parigi, 1944), che continua a dirsi «principiante», ci lascia al principio dell'ascesa: il suo romanzo definizione illuminante e illusoria è uno zaino, una bussola. Il Monte Analogo (uscito postumo in Francia nel 1952), in effetti sta a noi scriverlo. Per Daumal la letteratura era una pratica, la scrittura una disciplina; che la rampicata sia, in sostanza, uno scoscendimento negli irregolari inferi dell'uomo, va da sé. Il Sion ha esaurito le rivelazioni, l'Olimpo è un colle da cui le Muse sono fuggite, l'Everest una cartolina turistica: la montagna autentica va cercata e ricreata e così la formula atletica per vincerla. «Perché una montagna possa assumere il ruolo di Monte Analogo, è necessario che la sua cima sia inaccessibile, ma la sua base accessibile agli esseri umani quali la natura li ha fatti. Deve essere unica e deve esistere geograficamente. La porta dell'invisibile deve essere visibile».

Il Monte Analogo che, per evidenza simbolica, leggo al fianco del Gordon Pym di Poe, nella mia mente mantica lo sfogliava l'esoterico Kurtz nei recessi del Congo belga, è bestseller nella Castalia architettata da Hermann Hesse ed è canone nel reame di Zembla su cui signoreggia Nabokov è il culmine della vita di Daumal. Dedicato ad Alexandre de Salzmann, che lo aveva introdotto a Gurdjieff, quel romanzo è il vangelo della «Quarta Via», accenna all'ascesi attraverso l'ascesa, ma, soprattutto, è libro poliedrico, inafferrabile. D'altronde, Daumal è groviglio di esperienze contraddittorie. Figlio di un funzionario del Ministero delle Finanze, nato nelle Ardenne nel 1908, fu allievo di Alain libero pensatore amato da Sergio Solmi , conobbe Simone Weil. Insieme agli amici Roger-Gilbert Lecomte, Roger Vailland e Josef Sima fonda la rivista Le Gran Jeu, specie di eresia surrealista, che dura dal 1928 al 1932. Daumal pratica il vagabondaggio sapienziale, la sua è una poetica dell'oltranza, che si nutre di Rimbaud il veggente e dei poeti vedici, alterna l'epica patafisica tra i santi di Daumal spicca Alfred Jarry all'estasi psichedelica attraverso sostanze in particolare, il tetracloruro di carbonio che accendano allucinazioni. Conobbe Lanza del Vasto, si impegnò a tradurre Suzuki Daisetsu e Morte nel pomeriggio di Hemingway, sulla N.R.F. scrisse saggi sul tantrismo e sul teatro delle marionette, su Lautréamont, Leo Frobenius e la cultura tibetana; negli Stati Uniti ambì al primo ambivalente romanzo, La gran bevuta (1938); praticò l'insussistenza e l'alpinismo come forma d'arte («L'alpinismo è l'arte di percorrere le montagne affrontando i massimi pericoli con la massima prudenza. Viene qui chiamata arte la realizzazione di un sapere in un'azione»). Quasi per etica mistica, l'opera di Daumal è sparsa in piccole placche, fino alla dispersione, è pressoché postuma, adatta al culto, a essere stanata (sia lode al misterioso Claudio Rugafiori, che ha curato tutto Daumal per Adelphi e Gallimard). «La pubblicazione delle sue liriche ci mostrerà uno dei più grandi poeti del nostro tempo, una personalità prematuramente scomparsa, ma la cui influenza si sta manifestando in pieno soltanto ora», gorgheggia la quarta di Poésie noire, poésie blanche, libro edito da Gallimard nel 1954.

Finalmente la poesia di Daumal arriva a noi, nella traduzione di Damiano Abeni, attraverso l'opera più potente, Controcielo (Edizioni Tlon, pagg. 232, euro 14), pubblicata nel 1936, che ha la corrosiva freschezza del testo orfico, tra Battello ebbro e Bhagavadgita: «Non smettere mai di ritirarti dietro te stesso. E da là contempla.../ Qui la follia ancora serba il segreto del Rovesciamento del Mistero». «Il Contro-Cielo è il vuoto da raggiungere per accogliere l'illuminazione: la vuotità. Per questo è contro... il Controcielo è l'invisibile, il silenzio, il buio, la morte. Il cielo di ciò che si trova dall'altro lato dell'universo visibile», mi dice Andrea Cafarella, che ha curato il volume. Per i profani che hanno pietre negli occhi come me Controcielo è la carta celeste di un visionario, il circo ipnotico di uno sballato, poesia a testa sotto, non dissimile dagli slanci di René Char, dalle urla di Artaud, dalle epigrafi cristalline di Bonnefoy. Per gli illuminati, è opera alchemica, poesia «nera», la nigredo, il primo passo verso la dissoluzione dell'io, l'inizio del vento, dell'avventatezza. «Era un cattivo ragazzo diremmo oggi, forse. Era uno scapestrato. Potremmo metterlo nello stesso olimpo di Gurdjieff e Jodorowsky, e vicino a lui Artaud e Michaux», mi dice Cafarella. «Eppure, Daumal è riuscito a trovare il suo senso nel percorso e nella disciplina. Nella rigorosità. Studia il sanscrito e impara dai grandi studiosi: René Guénon, Ananda Coomaraswamy, Suzuki... In questo coacervo di filosofie diversissime lui trova la sua via e ci insegna così l'unica verità sugli insegnamenti: non ne esiste uno migliore o più vero dell'altro, ognuno ha il suo proprio: ognuno è maestro di sé stesso». Non occorre assalire il cielo, ma abbassarlo e abbassarsi, per lasciare spazio alla vertigine.

La «poesia bianca», secondo Daumal, è quella che «apre la porta di un solo mondo», è l'evidenza della «parola unica e suprema». Ora, però, bisogna scoscendere oltre la virgola del Monte Analogo, e precipitare o salire gustando il candore del silenzio, dell'urlo muto, prossimo al pregare. I libri saranno falchi.

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