Racconti, la via più breve per rilanciare la letteratura

Fiction classica e non, zibaldoni, diari intimi e novelle. Le tendenze di un genere trascurato

Racconti, la via più breve per rilanciare la letteratura

Alla domanda su quale forma letteraria oggi sia più in disgrazia probabilmente in molti risponderebbero la poesia. Ma a ben guardare la poesia (e i poeti) occupano una nicchia, seppur marginale, ancora abbastanza riconosciuta e riconoscibile. Ben altra e più triste sorte in Italia è toccata al racconto (e agli scrittori di racconti), che nell'ipotesi migliore è sempre visto come una sorta di riscaldamento, di preparazione al romanzo. Dino Buzzati ci metteva una pietra sopra già nel 1937: «A meno che non si tratti di autori famosi o di specialisti in tale genere letterario, il pubblico rifiuta i libri di novelle».

Convinzione assai strana per una letteratura che è germogliata grazie al seme boccaccesco del Decamerone. Eppure un libro di racconti è sempre visto con sospetto dagli editori, e quando ne esce uno sembra quasi che l'evento sia da imputarsi a una svista di qualche editor, a un errore del sistema. Abbiamo cominciato a perdere terreno nell'Ottocento, il secolo aureo del racconto moderno, quando i nostri Scapigliati scrissero a rimorchio di Edgar Allan Poe, E.T.A Hoffmann e Théophile Gautier. E sebbene nel Novecento i grandi scrittori di racconti italiani non siano mancati - si pensi soltanto a Pirandello, Fenoglio, Landolfi, Manganelli - il racconto breve è rimasto impigliato in una ragnatela di pregiudizi e diffidenze. Perfino un bestsellerista come Niccolò Ammaniti ha intitolato la sua raccolta Il momento è delicato, cioè con le parole d'ammonimento che gli aveva sferrato un editore a inizio carriera, inorridito alla vista dei suoi racconti.

Negli ultimi tempi però alcuni segnali inducono a un cauto ottimismo, e non solo per il Nobel nel 2013 alla canadese Alice Munro la quale, come scandisce la motivazione dell'accademia svedese, è stata premiata in quanto «maestra del racconto contemporaneo». Qui in Italia tutto è cominciato con il rilancio di alcuni maestri della short story da parte delle major. Raymond Carver è stato ripreso da Einaudi e John Cheever da Feltrinelli. Non dobbiamo dimenticare però il lavoro dell'editoria indipendente senza il quale, in tempi di vacche magre, non avremmo potuto leggere in italiano autori come Richard Yates (minimum fax), Judith Hermann (Socrates), Deborah Willis (Del Vecchio Editore), Lucia Berlin (Bollati Boringhieri), Harold Brodkey (Fandango). Ma gli scrittori italiani di racconti come se la passano? E quali sono le linee creative principali?

La fiction di taglio classico naturalmente è ancora il modo preferito dai raccontisti, con prove convincenti sia sul versante di un minimalismo evoluto (Valerio Valentini con Parlare non è un rimedio, Orti Manara con Il vizio di smettere), sia in quello di un nuovo fantastico (Marco Marrucci con Ovunque sulla terra gli uomini, Loredana Lipperini con Magia nera); all'interno della fiction è da sottolineare il ritorno alla cornice da parte di molti raccontisti (Paolo Teobaldi con Arenaria, Valentina Fortichiari con La cerimonia del nuoto), e in questi fil rouge c'è una forte componente politica, femminismo, lotta per la parità di genere (Giorgetta Dorfles con Di tutti i peccati delle donne, Elisabetta Rasy con Le disobbedienti). La vera novità però è rappresentata da un campione, seppur esiguo, di libri di racconti di non fiction assai particolari ma che in qualche modo rispettano l'air du temps (se è vero che all'interno della modalità narrativa egemone, cioè quella romanzesca, ormai la non fiction detta legge), atlanti letterari che sono allo stesso tempo zibaldoni di aneddoti e diari intimi (Massimo Onofri con Isolitudini, Leonardo Piccione con Il libro dei vulcani d'Islanda) e un libro di racconti ispirato a storie vere nel solco dell'impegno civile e della scrittura come testimonianza (Davide Coltri con Dov'è casa mia). Da ultimo, due casi limite, la micro-fiction che in poche pagine è capace di raccontate una storia (Paolo Albani con I sogni di un digiunatore) e, all'opposto, la misura ibrida tra romanzo breve e racconto lungo che è la novella (Lucrezia Lerro con La giravolta delle libellule).

Resiste anche il fenomeno dell'antologia di matrice tondelliana, una sorta di tentativo di inquadrare una certa area letteraria da un punto di vista tematico, geografico o soprattutto anagrafico (i giovani esordienti). Benché nella maggior parte dei casi l'operazione rafforzi l'idea che quella del racconto sia una specie di palestra, è indubbio che la proliferazione di collettanee offra slancio e una concreta possibilità di smercio alle scritture brevi. Un titolo tra le ultime uscite: Il sesso della rivista K (Linkiesta, a cura di Nadia Terranova, pagg. 315, euro 20). La pandemia ha rilanciato anche i piccoli formati in digitale (antesignane in tal senso sono state le collane ad hoc ZoomFlash di Feltrinelli e i Quanti Einaudi, che sulla scorta dell'entusiasmo per gli ebook offrivano una chance ai testi brevi che non trovavano una giusta collazione nella tradizionale editoria cartacea). Spiccano i Microgrammi di Adelphi (Naipaul, Gadda, Borges) e gli Squali della Nave di Teseo (Powers, Cunningham, Scerbanenco).

In questo quadro felicemente turbolento, i maggiori premi letterari nicchiano (ma vanno ricordate almeno le istituzioni specializzate nel racconto, il Premio Chiara, il Settembrini, il Fucini e il Ceppo). Ci piacerebbe un dossier - finalmente di matrice letteraria e non sociologica - che indicasse quante poche volte allo Strega o al Campiello abbia partecipato e vinto un libro di racconti. Si dice spesso che un romanzo è riuscito se suscita un dibattito, invece un racconto se lascia senza parole.

Forse anche per questa ragione le scritture brevi sono state penalizzate, perché in fondo sono esperienze di letteratura pura, che non fanno notizia nel circo mediatico delle innumerevoli storie che sgomitano per il loro quarto d'ora di celebrità.

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