Yelchin: "Racconto ai bimbi come Stalin avvelenasse anche il football"

Lo scrittore russo ci spiega quanto il totalitarismo colpisse anche i più piccoli

Yelchin: "Racconto ai bimbi come Stalin avvelenasse anche il football"

Eugene Yelchin racconta Stalin ai bambini. Il terrore, la paura. Lui è russo, nato a San Pietroburgo nel 1956, ma vive negli Usa dall'83. In Russia ha studiato design all'Istituto di arti teatrali dell'allora Leningrado, in America cinema all'Università della California del Sud ed è diventato illustratore (ha creato fra l'altro i bozzetti della campagna dell'orso polare della Coca cola, il più americano dei marchi), disegnatore e autore di libri per bambini. È nei suoi libri che racconta l'epoca staliniana: come in Breaking Stalin's Nose (letteralmente «rompere il naso di Stalin», 2011) e nel più recente Arcady's Goal, in italiano Il coraggio di un campione(Piemme, pagg. 187, euro 16), storia di Arcady, che vive in un orfanotrofio per figli dei nemici del popolo e sogna un futuro da campione nella squadra dell'Armata rossa. Yelchin risponde dalla California, dove di recente è morto suo nipote, l'attore di Star Trek Anton Yelchin.

Che cos'è lo stalinismo?

«Lo stalinismo è la forma autoritaria del comunismo, protetta dall'intimidazione e dalla violenza. Nell'Urss, lo stalinismo è continuato anche dopo la morte di Josif Stalin, mentre la violenza e l'intimidazione sono diminuite. Credo che lo stalinismo sia proseguito in varie forme fino alla disintegrazione dell'Unione sovietica. Come risultato, lo stalinismo è responsabile di avere formato l'identità e la visione del mondo di tutte le persone nate nell'Urss. È quello che è successo a me».

L'ha sperimentato lei stesso?

«Sono nato in Russia nel 1956 e ho lasciato il Paese nel 1983, portando con me quello che avevo ereditato dallo stalinismo: la paura dell'intimidazione e la violenza. Due dei miei romanzi, Breaking Stalin's Nose e Il coraggio di un campione sono ambientati durante il periodo staliniano, per via del suo impatto profondo sulla psiche umana, in particolare su quella dei giovani. Scrivo della paura che ti sovrasta e di come imparare a fidarti di un altro essere umano».

Perché ne scrive nei suoi libri?

«Benché la maggior parte dei miei giovani lettori non sappia alcunché dello stalinismo, possono facilmente mettersi in relazione con le domande che i protagonisti si fanno: che cosa comporta votare contro la maggioranza? Come vivere la tua vita, anziché quella predeterminata per te dagli altri?».

Qual è l'epoca in cui vive Arcady?

«Il libro è ambientato nel 1941, appena prima dell'invasione tedesca dell'Unione sovietica. C'è un senso di presagio nel romanzo, la guerra incombe all'orizzonte, come un altro ostacolo ai sogni di Arcady. Ma il punto centrale della storia non è la guerra che Hitler infliggerà ai russi, bensì la guerra senza pietà che Josif Stalin sta combattendo contro il suo stesso popolo».

Ma perché raccontarlo in un libro per bambini?

«Ci sono molte ragioni. Non ultimo il fatto che, a differenza delle atrocità dei nazisti, il terrore di Stalin è poco conosciuto in Occidente. Fino al mio primo romanzo Breaking Stalin's Nose non era stato affrontato in un libro per bambini. Ma, in generale, il mio lavoro si occupa degli effetti a lungo termine delle forme totalitarie di governo sui bambini, e sul modo in cui lo stalinismo ha impedito la loro crescita emotiva e psicologica. Il terrore staliniano, responsabile della disintegrazione di una famiglia, era l'ambientazione più chiara per esplorare il carattere di Arcady».

Si è ispirato alla storia di suo padre?

«Per la maggior parte della sua vita, mio padre Arcady Yelchin ha servito nell'Armata rossa, dove era diventato molto noto come calciatore e, successivamente, come allenatore. Il calcio era ed è ancora molto popolare in Russia. Perciò, in un'epoca della storia in cui la vita umana era stata completamente privata di ogni valore, e milioni di vite sono state perdute a causa dello stalinismo, mio padre è riuscito a sopravvivere perché era bravo a calcio. Ma è morto giovane, a 52 anni, e posso testimoniare che la sua sopravvivenza è costata moltissimo dal punto di vista fisico e psicologico».

Come nel romanzo

«Anche il giovane Arcady lotta per sopravvivere in un ambiente ostile, lo fa cercando di diventare un campione di calcio e, anche lui, paga un prezzo altissimo. È influenzato così profondamente dall'ambiente ostile che non riesce a riconoscere che il cammino verso la salvezza e la sicurezza non si trova nel segnare gol, bensì nelle relazioni familiari».

Arcady è figlio di nemici del popolo. Che significa?

«L'apparato di propaganda e di controllo di Stalin eccelleva nel fabbricare nemici al di fuori dell'Urss, così come all'interno. Queste persone sfortunate erano bollate come nemici del popolo. Erano separati dai loro figli, che finivano in orfanotrofi speciali, gestiti dalla polizia segreta di Stalin. Le condizioni in questi orfanotrofi erano ripugnanti. I bambini erano ridotti alla fame e molti non sopravvivevano. Quelli che ce la facevano erano marchiati a vita come figli dei nemici del popolo: a loro erano negati i beni più basilari, un tetto e un lavoro. Questo è il futuro da cui Arcady cerca disperatamente di fuggire».

Da ragazzo in Russia che libri leggeva?

«I libri sono stati straordinariamente importanti durante la mia infanzia. Leggevo ovunque: nella nostra stanzetta nell'appartamento comune, sull'autobus, in classe e durante le lunghe code per aspettare il pane. Era difficile imbattersi in un grande libro, perciò leggevo tutto ciò che mi capitava fra le mani, senza un ordine sensato. Kafka a 12 anni, Faulkner a 13. Ho letto Zola, Balzac, Hugo, Schiller e Maupassant alle medie, semplicemente perché mio padre aveva i loro libri nella sua biblioteca. Che capissi o meno, importava poco. Quelle parole affascinanti erano riuscite a rimpiazzare il mondo grigio e spaventoso che ci circondava».

L'hanno influenzata?

«Più tardi, da adolescente ho iniziato a leggere libri proibiti dalle autorità sovietiche, la maggior parte trafugati dall'estero. È così che ho scoperto Pasternak, Bulgakov e, poi, Solzenicyn e gli scritti dei dissidenti. Questi libri mi hanno aperto gli occhi. Ho capito che rimanere un cittadino dell'Urss mi avrebbe reso complice dei crimini del mio governo».

Come è stato emigrare in America?

«Ho lasciato l'Urss quando avevo 27 anni, ero un uomo completamente formato, sia dalla vita sotto un regime totalitario sia dalla mia resistenza a esso. Ho portato questa contraddizione con me negli Usa. Il mio odio verso un governo totalitario, verso lo stalinismo e l'oppressione mi hanno aiutato ad accogliere la libertà con entusiasmo; ma la paura instillata in me dalla nascita mi ha impedito di diventare un uomo veramente libero».

Come lo ha capito?

«Ovviamente non sono divenuto consapevole di questa contraddizione

se non dopo anni e dopo un auto-esame lungo e doloroso. I miei libri sono il risultato diretto di questo esame: ognuno è una questione morale presentata in maniera drammatica. Tocca al lettore decidere da che parte stare».

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