L'incidente su una tratta secondaria della rete del gas austriaca avvenuto ieri, ha creato un gran pasticcio sul mercato dell'energia ieri in Europa, compresa l'Italia. I prezzi sono ovviamente saliti. Fino a quando non verrà rimesso in sesto il tubo, sul mercato resteranno tensioni. L'Italia ha una domanda di gas all'anno superiore ai 70 miliardi di metri cubi. Un'enormità. Siamo un Paese industrializzato, grazie al cielo, e le nostre case sono riscaldate a gas, per ridurre l'inquinamento. Purtroppo nella nostra penisola se ne produce solo una frazione: 8 miliardi di metri cubi. La maggior parte dunque la dobbiamo importare. Circa trenta miliardi arrivano per gli snodi austriaci, targati Russia. Dipendiamo dal gas russo e questa non è una novità. Quando ci furono le tensioni geopolitiche con l'Ucraina, ne sentimmo le conseguenze anche sul nostro mercato. Per questo un'ex azienda pubblica, la Snam, ha fatto un ottimo lavoro nel costruire siti di stoccaggio, che ci mettano al riparo da imprevisti. Oggi questi serbatoi hanno circa 12 miliardi di gas stoccati. Come si sarebbe detto un tempo: è la nostra riserva di guerra.
Ma restiamo fragili. Nonostante una rete impressionante di tubi (32mila chilometri) che innervano l'Italia, siamo troppo dipendenti da un nucleo ristretto di fornitori. Per questo ieri, a buona ragione, il ministro Calenda ha detto che il tubo di Lecce, il cosiddetto Tap, è strategico. Si tratta dell'ultima tratta di un gigantesco gasdotto da più di 800 chilometri che dovrebbe portare nel 2020 il gas dall'Azerbaigian all'Italia. Sono otto modesti chilometri, interrati, senza alcun impatto visivo e ambientale, contro i quali un nugolo di fanatici sta facendo un gran baccano. Il tubo leccese, come dimostra il caso avvenuto ieri, è strategico. Non possiamo dipendere solo dai russi, dobbiamo avere più fornitori. I dieci miliardi di metri cubi che ci potrebbe garantire lo sbarco in Puglia, non solo ci mettono al riparo da un monofornitore, ma contribuirebbero a calmierare il mercato. Le nostre case, le nostre centrali (sempre meno a carbone e che ormai residualmente bruciano petrolio) e le nostre imprese sono affamate di gas e il Tap per loro è fondamentale.
La battaglia contro il Tap non è solo antistorica, basata su fake news, ma è soprattutto antieconomica e miope.
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