Da Salling alla Gomez le doppie vite delle star dei ragazzini

L'attore di "Glee" suicida è l'ultimo di tanti divi dai segreti terribili o devastati dal successo

Da Salling alla Gomez le doppie vite delle star dei ragazzini

La vita privata delle celebrità non deve per forza coincidere con i loro ruoli sotto i riflettori e d'altronde, venire a sapere che grandi scrittori erano uomini meschini non inficia la valutazione delle loro opere. Il grande schermo gronda di bravi attori gay, che baciano donne per fiction (da Rock Hudson a Kevin Spacey) e la scena musicale abbonda di cantanti che inneggiano all'amore tra uomo e donna, senza essere eterosessuali (da Tiziano Ferro a Gianna Nannini). Fa parte del gioco, giocare con le parti assegnate, soprattutto quando la società è fonte di confusione. Perché un conto è l'apparire e un conto è l'essere, come ha dimostrato la vicenda Weinstein, produttore temuto e riverito prima che si aprisse il cofanetto dei veleni, dov'erano stipati i più grandi nomi di Hollywood alla voce «prede sessuali». Fermo restando che noi europei non siamo rigidamente moralisti come gli americani, però c'è un però. E riguarda i minori. In particolare i bambini: non a caso, in carcere, ai pedofili è riservato un temuto trattamento speciale, verso chi offende i puri di cuore. C'è da rabbrividire al pensiero di quanta influenza possa avere una celebrità sulle vite dei più giovani: dall'uso di droghe all'alcolismo fino al peggiore dei vizi, la pedofilia, le star, annoiate e oppresse da enormi guadagni facili, provano di tutto. E per uscire dalla prigione della loro mente, si tolgono la vita: è il caso del texano Mark Salling, il 35enne divo di Glee, ossessionato dalle immagini pedopornografiche: ne aveva oltre 50mila, tra laptop e chiavetta USB, raffiguranti abusi su bimbi di 3 anni e per questo era finito sotto processo. Poteva andare in galera per 20 anni, ma prima della sentenza, prevista per il 7 marzo, il «sex offender» che doveva stare lontano da scuole, parchi, piscine pubbliche e centri commerciali, si è ucciso. Impiccandosi a un albero, in un campo da baseball di Los Angeles. Del resto, nella serie tv egli interpretava il ragazzaccio Noah «Puck» Puckerman, non uno stinco di santo. E forse aveva iniziato ad amare gli impuberi, a modo suo, dal 1996, interpretando la saga horror Inferno a Grand Island, con i ragazzini del Nebraska coinvolti in strani omicidi. Un prodotto firmato dallo studio Miramax di Weinstein. Va da sé che i media hanno pompato la storia della «maledizione di Glee», ricordando la fine di un altro protagonista della serie amata dai giovani, Cory Monteith, morto a 31 anni per overdose, nel 2013: il suo cadavere fu trovato in una stanza d'albergo, a Vancouver. Un mix di eroina e alcol fatale per il quarterback del telefilm. Pure un altra star del telefilm Matt Bendik è morto nel 2014.

Un tipo di abuso che influenza negativamente i fans dei giovani attori, ma mai così esecrabile come quello che, da decadi, si dice abbia commesso Woody Allen, sostanzialmente marito di sua figlia adottiva, con la quale ebbe rapporti quando era minorenne e molestatore (ma le accuse non sono mai state provate) dell'altra figlia adottiva, Dylan Farrow. Una delle più crude verità emerse con il caso Weinstein è che la cultura del silenzio, a Hollywood e non solo, nasconde il sordido segreto di una cerchia organizzata di star pedofile.

Come l'attore e regista americano James Franco, trionfatore ai Golden Globes, con tanto di spilla Time's Up per dire basta alle molestie sessuali nei confronti delle donne, pur avendo adescato una 17enne scozzese su Instagram: forte della sua fama, egli ha insegnato cinema alla Ucla di Los Angeles, a contatto con i giovani, per i quali non è un faro di luce. Come non forniscono esempi da imitare le ex-star della scuderia Disney, Miley Cyrus e Selena Gomez: da ragazzine angeliche a divette soft-porno, hanno fatto presto a diventare bad girls.

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