Ricetta per un buon film italiano: girare in Lituania, in inglese, con cast straniero, 9 milioni di euro e un autore furbo cui ispirarsi, che pubblica un libro da mercato globale con Einaudi e poi lo presenta a Casa Pound. Così fa centro Gabriele Salvatores, che torna alle grandi storie con Educazione siberiana (dal 28, «mentre il Papa si dimette», colonna sonora di Mauro Pagani), tratto dall'omonimo romanzo di Nicolai Lilin, autore di best seller, ignorato nella natia Russia, forse ex-gangster e gallerista a Milano. E funziona questo C'era una volta in Siberia, con riferimenti al C'era una volta in America di Sergio Leone, laddove si àncora - nel quadro d'una lotta per la propria identità - la storia d'amicizia tra Kolyma (lo spirituale lituano Arnas Federavicius) e Gagarin (Vilius Tumalavicius, somigliante al fratello di Gabriele Muccino: pelle slavata e occhi chiari). «Amo Sergio Leone e considerando che il mio primo maestro di cinema è Lino Baragli, montatore ex-borgataro romano che ha montato i film di Pasolini e di Leone, qualcosa m'ha lasciato dentro. Mi piace il cinema che racconta le storie grandi», spiega il regista 60enne, che impiega l'iconico John Malcovich come tostissimo nonno Kuzja, guru dei criminali onesti della Transnistria, regione separatista tra la Moldavia e l'Ucraina, totalmente fuori controllo dopo lo spappolamento dell'URSS e dominata da un pugno di cleptocrati.
Per fortuna, col suo talento immaginativo, Salvatores tiene a bada il duo Rulli&Petraglia, sceneggiatori didattico-magniloquenti quand'è l'ora di raccontare la storia dei comunisti. Perché pure di questo si tratta, in un film così denso di sottotemi da sfilacciarsi un po', mentre racconta una comunità siberiana simile a un clan mafioso, con risvolti mistici: tra le regole, c'è il disprezzo del denaro, dei potenti, dei poliziotti e dei comunisti, mentre si amano le armi, i tatuaggi, i «voluti da Dio», cioè le persone con disagi fisici, o mentali, le icone, la religione.
La vicenda di Educazione siberiana abbraccia un arco di tempo che va dal 1985 al 1995, quando il crollo del Muro di Berlino determina la sparizione dell'Unione Sovietica, con desolanti risultati sociali ed economici. Non a caso, la scena più significativa del film è quando Kolyma, Gagarin e la loro bella amica Xenja (Eneanor Tomlinson) evadono dal borgo selvaggio intorno a Fiume Basso, tra lupi dei Carpazi e neve al ginocchio, per raggiungere la giostrina d'un quartiere sovietico, dominata da un edificio mastodontico della disciolta URSS: sarà pura gioia, per loro, salire sui seggiolini e volare, ascoltando Absolute Beginners di David Bowie. «Quella scena, quella canzone, è come il profumo delle rose per quei ragazzi. Rose che non avevano avuto mai», commenta Salvatores, premio Oscar nel 1991 con Mediterraneo. Quanto a statuette, il cineasta napoletano di nascita e milanese d'adozione, mostra un nervo scoperto. «L'Oscar? Non è che un premio dell'industria americana. Ci sono film brutti, che hanno vinto l'Oscar e film belli, che non l'hanno vinto. Per me, contano le storie universalmente comprensibili», scandisce lui, escluso dal Festival di Berlino «perché Educazione siberiana non si riesce a definire film italiano. Non c'è neanche un attore italiano». Meno male,vien da dire, visto che tale produzione Cattleya,con Rai Cinema, è stata venduta in diverse nazioni: dalla Francia al Canada, i compratori sono attratti da questo Romanzo criminale in salsa folk, tra zarismo e stalinismo, con forte accento critico sui guasti della globalizzazione.
E parla la pelle tatuata di John Malkovich, inflessibile esiliato che cresce il nipote Kolyma insegnandogli che «un uomo non può possedere più di quanto il suo cuore possa desiderare». «Ho scelto gli abiti con cura e mi sono sottoposto con piacere a spettacolari tatuaggi», sibila il laconico John: il suo nonno, che odia la droga e il danaro e regala pistole e coltelli al nipote, è già mito.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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