Fra Samorì e Megall la vera pittura è quella "On the Wall"

Fra Samorì e Megall la vera pittura è quella "On the Wall"

Da molti anni Demetrio Paparoni ragiona sulla pittura, spesso sulla pittura figurativa, senza però alcun intento passatista, anzi in lui resiste una tensione d'avanguardia se è vero che la pittura - arguiva Clement Greenberg - è «l'avanguardia per eccellenza» che può salvarci dalle derive orrende dell'avanguardismo di maniera e dei suoi epigoni, i quali hanno distrutto l'arte in nome del «dell'ideologia del nuovo», scindendo l'arte dall'estetica, preferendo un'arte priva di qualità in cui «lo scioccante, lo scandaloso, il sorprendente» sono fini in sé.

Paparoni anche con «On the Wall», la mostra che ha curato al Building di Milano (via Monte Pieta 23, fino al 19 marzo), esemplifica fin dal titolo la sua totale fiducia nel quadro inteso, alla maniera di O'Doherty, come «una finestra trasportabile che fissata al muro lo attraversa in profondità» e che permette allo spettatore, senza le sovrastrutture spesso incomprensibili delle installazioni o delle performances, di ragionare in termini estetici sul mondo. La cosa acquista un significato ancora più profondo perché avviene in una galleria super contemporary tra le più autorevoli in Italia per qualità espositiva e scelte curatoriali, ed è dunque un segno che si sia optato per la pittura-pittura: d'altronde la figurazione è un fiume carsico sempre pronto a riemergere al di là delle mode e delle insensatezze del concettuale.

Nei quattro piani espositivi, molto white cube, del Building che ha i crismi di un museo, le quaranta opere di Paola Angelini, Rafael Megall, Justin Mortimer, Nicola Samorì, Vibeke Slyngstad e Ruprecht von Kaufmann esemplificano il percorso mentale di Paparoni, fra tensioni romantiche e simboliste, convinto della sempre esuberante forza della pittura. Di assoluta bellezza tre grandi tele di Samorì, specialmente una in cui l'artista italiano, uno dei pochi della sua generazione a essere riuscito ad affermarsi a livello internazionale, lavora sull'iconografia della Madonna di Foligno di Raffaello, scorticando la pelle del dipinto originale per produrre una nuova e altrettanto commovente immagine sacra: la compostezza del Rinascimento subisce l'accelerazione dell'astrazione e dell'informale, la Madonna al centro è una macchia bituminosa che sovrasta il dipinto e ne resta il centro focale, quasi espressione di una teologia dell'oscurità e della privazione.

Della stessa intensità e forza, sebbene di altra natura, i lavori dell'armeno Rafael Megall (classe 1983) su cui scommette Paparoni che ne ha appena curato la monografia per Rizzoli New York: il trittico di grandi dimensioni (250x160cm) Are there mangy cats in Eden? è un inno alla pittura floreale e nello stesso tempo alla pittura segnica in cui la luminosità della raffigurazione è irretita in una griglia di simboli della tradizione decorativa dei cristiani d'Armenia che rimandano, simbolicamente ma irrimediabilmente, alla tragedia di quel Paese e di quel popolo.

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