"Sarò Madama Butterfly al Met di New York. La cultura della cancellazione? È un'assurdità"

Il soprano negli ultimi mesi ha avuto cinque nuovi ruoli e tre aperture prestigiose

"Sarò Madama Butterfly al Met di New York. La cultura della cancellazione? È un'assurdità"

D'in su la vetta della torre lirica - nel reparto donne - dominano cantanti dell'Est Europa, sono loro ad aggiudicarsi buona parte dei contratti che contano. Il tutto con le dovute eccezioni: una è rappresentata dal soprano Eleonora Buratto, di Mantova, classe 1982, attiva nei teatri dove ha senso o è un privilegio esserci. Il 9 agosto ha inaugurato il Festival di Pesaro nei panni di Anaï nel Moïse et Pharaon di Gioachino Rossini, in una nuova produzione di Pierluigi Pizzi, con Giacomo Sagripanti alla testa del'Orchestra della Rai. Negli ultimi dieci mesi, Buratto ha messo in fila cinque nuovi ruoli e tre aperture di stagione: Teatro alla Scala di Milano, Arena di Verona e ora Pesaro.

Come si sta in compagnia di Rossini?

«Un sogno che s'avvera. Mi vedevano legata a un certo repertorio e così non mi affidavano ruoli rossiniani. Dopo aver cantato un'aria al Gala Rolex, è scattato l'ingaggio. Con il debutto di due mesi fa in Aida si è verificato il caso opposto, ero io ad avere paura del ruolo, pensavo che l'avrei fatto non prima dei 42/43 anni. Poi Riccardo Muti, come sempre, mi ha convinta».

Tra l'altro deve proprio a Muti il lancio di carriera.

«Mi aveva inserita nel cast di Demofoonte in seguito a un'audizione che avevo curato moltissimo, ero andata a Salisburgo con tre giorni d'anticipo così da essere riposata. Avevo studiato con Speranza Scappucci all'epoca preparatrice di cantanti di Muti. Ne valse la pena perché tutto partì da quello».

Altro nome che ha fatto la differenza: Luciano Pavarotti con cui ha studiato per tre anni. Il più grande lascito?

«La sua forza d'animo e la passione per la musica. Già era in chemioterapia, ma non smetteva di darci consigli, anzi sembrava aggrapparsi a quello. Peccato non avessi la preparazione tecnica che ho ora. Essendo un talento fuori dal comune, non riusciva a spiegarci le questioni tecniche, per lui era tutto naturale. Gli insegnamenti che non colsi allora tornano utili oggi».

Un ricordo indelebile?

«Un giorno, nella casa di Modena accolse noi studenti con un bel: Adesso vi faccio assaggiare la caponata. Inutile far presente che avevamo lezione, che dovevamo cantare. Ma va' che non vi fa niente, la sua risposta. E già arrivavano i piatti».

Se applicassimo la cultura della cancellazione alla lirica chiuderemmo i teatri. Teme che quest'onda possa travolgere anche il melodramma?

«Un po' è già arrivata. Pensiamo alle Aide che non possono dipingersi il viso da etiopi o alle Turandot che evitano trucchi all'orientale perché potrebbero offendere il popolo cinese. Adesso s'inizia ad arricciare il naso di fronte alle opere che contengono femminicidi. Assurde dietrologie».

Già sperimente?

«Purtroppo sì. Nell'ottobre 2019 ero impegnata in Turandot al Metropolitan di NY. Alla prova generale venni truccata all'orientale come è naturale che sia, stiamo parlando di trucco teatrale e di un'opera ambientata in Cina. La sera della prima, invece, ci fu un cambio di trucco, cancellate le fattezze orientali. Una cosa talmente assurda che lì per lì non l'avevo neppure compresa».

Nel 2022 al Met di New York sarà la giapponese Madama Butterfly. Niente occhio a mandorla dunque?

Eh, non lo escludo. Di una cosa sono certa. Se in Aida qualcuno mi impedirà un trucco all'etiope giuro che mi farò le lampade».

Poi magari la sbiancano

«Dirò che sono allergica a quei prodotti. Io mi oppongo. Non se ne può più».

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