Il sarcasmo di Nick Cave, vero provocatore del rock

L'inizio del 2013 tra l'altro ha segnato il ritorno di Nick Cave con un nuovo album: Push the sky away, il quindicesimo nella carriera del rocker australiano. Ma oltre al lussuoso pezzo di musica ed epica che il disco rappresenta (ottimo distillato di temi e suoni suoi e dei Bad Seeds, la band che lo accompagna da quasi trent'anni), l'oscuro Nick si è subito fatto notare per i caratteristici scambi con alcuni fan su Twitter. Nella sessione di domande e risposte promozionali di qualche giorno fa è stato tranchant con più di un affezionato. A un ragazzino che gli confessava di voler essere come lui ha risposto di «abbassare le aspettative». A un altro che si esercitava nel mestiere più antico del mondo, quello di porre domande cretine, chiedendogli: «cosa dovrei mangiare a cena?» ha replicato: «tua moglie». E uno che gli chiedeva perché avesse sempre quell'aria tenebrosa si è visto rispondere: «Non ne hai una fottuta idea. Tenebroso? Ho appena cominciato..».
Sempre nello scambio twittarolo con i fan, dopo aver confessato che il suo disco preferito è Nocturama (2003) perché «tutti lo odiano», ha concluso che un «rapporto conflittuale» con i suoi collaboratori è «essenziale" creativamente. Solo poche ore dopo abbiamo visto il vampirico Cave in streaming da un teatro hollywoodiano eseguire tutto il nuovo disco con la band. Novanta minuti di performance raffinata e noir, oltre che per temi (la quaternitas religione, morte, violenza, amore) anche nell'umorismo, e naturalmente nel colore del vestito.
Perché se c'è un modello vivo e attivo di santo-peccatore alla Dostoevskij o alla Joseph Roth, ma riportato nel mondo rock, quello è Nicholas Edward Cave, 56 anni. Peccatore, con il cinismo da rockstar, la liason con l'eroina iniziata a fine anni 70 a andata avanti un bel po', gli sbotti contro i colleghi, l'inquietudine fisica che l'ha portato a collezionare mogli, fidanzate, figli sparsi nel mondo. Ma «santo», anche, per l'ossessione religiosa che ha seguito e coltivato praticamente da subito. Da quando ragazzino cantava nel coro della chiesa anglicana di Wangaratta, nello stato di Victoria, insofferente per il moralismo protestante e magnetizzato dalla mitologia biblica; a quando con il suo primo gruppo, The Birthday Party, si buttava giù dal palco strillando di dannazione, nei locali di Melbourne prima e di Londra poi. Le scintille creative, sappiamo, nascono dai contrasti. Nel suo caso anche dai lutti: dopo la perdita del padre, a 19 anni, raccontò: «ero confuso e spaesato, si era creato un vuoto, uno spazio, in cui le mie parole cominciarono a fluttuare, poi a raccogliersi, e infine a trovare la loro direzione».
Una carriera di rara coerenza, quasi antipop, quella di Cave. Gothic punk con i Birthday Party, ha virato su forme più sottilmente inquiete, a volte retrò, a volte variamente lisergiche con i Bad Seeds. Insieme ai Grinderman sono praticamente i suoi unici progetti musicali in 40 anni di attività. Cave è uno stilista superbo (anche nel senso di altezzoso), ma di uno stile tutto suo, che risente dell'art rock dei 70-80 come di modelli narrativi alla Hemingway e Bukowski, con in più il sublime menefreghismo punk.
E non è stata una scelta da artista postmoderno, ma una conseguenza naturale, che la sua creatività uscisse dall'orizzonte musicale. Lo abbiamo visto al cinema, per esempio ne Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders. La sua musica è stata usata come colonna sonora in innumerevoli film e serie televisive. Cave ha anche composto, con il Bad Seed Warren Ellis, la colonna sonora di numerosi film (consigliata The Proposition di John Hillcoat, 2005) oltre che di diversi lavori teatrali: su tutti il Woyzeck di Buchner e, manco a dirlo, la trasposizione del Faust. Perché alla fine sempre lì si torna, al motivo teologico, alla lotta tra bene e male. Anche il suo acclamato romanzo La morte di Bunny Munro (Feltrinelli, 2006) è una storia umoristica di peccato che qualcuno ha definito «una via di mezzo tra Fanz Kafka e Benny Hill».
E il lato «teologico» del cantante-musicista-scrittore lo troviamo in bella evidenza nel libro di John H. Baker, The art of Nick Cave.

New Critical Essays (Intellect books). A cominciare dalle sue dichiarazioni sull'argomento, dalla professione di fede immoralista: «se sono un cristiano sono un pessimo cristiano» al dubbio radicale del fedele: «assenza o presenza di Dio, io credo in lui».

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