Dura tre minuti e nove secondi. Non devi andare più veloce di quanto serva. Le mani si incrociano, senza virtuosismo. La voce del clavicembalo ricorda il volo di un gabbiano che cerca la sua ultima isola. C'è la nostalgia per qualcosa che ti sfugge e solo alla fine, quando il tempo sta per finire, riesci a ritrovare. Il ritmo sembra avere qualcosa di marziale, ma non lo è. È incalzante, con quelle frasi ripetute, quasi irragionevoli. Tutto ti sembra inevitabile. «Il silenzio che segue è sepolcrale». È la sonata K1 in Re minore di Domenico Scarlatti. Chi la sta suonando è Maria Bárbara di Braganza, infanta di Portogallo. Questa musica è stata scritta per lei, come un esercizio, come un incantesimo, come una liberazione. È in questa scena la pietra angolare del romanzo di Alberto Riva Il maestro e l'infanta (Neri Pozza, pagg. 269, euro 18).
Domenico è il figlio di Alessandro Scarlatti. Il padre è il genio napoletano dell'opera barocca, lui preferisce le sonate. Ne ha scritte 555 per clavicembalo e ognuna è un racconto. Il suo stile è un'invenzione: arpeggi, note ribattute in agilità, incroci delle mani, ottave spezzate e percosse. È a Lisbona come maestro di corte e con un compito in più non previsto da alcun contratto: dissuadere le ambizioni artistiche della primogenita del re. Ne riconoscerà invece il talento. Domenico respira l'odore degli animi insoddisfatti, come un principio di infelicità, che gli ricorda la casa paterna. È il peso silenzioso dei figli d'arte.
Maria Bárbara ha come padre un re. È Joao V. Non è bella e troppo intelligente per non sentirsi prigioniera. Ha il labbro pronunciato degli Asburgo. Un giorno sposerà Fernando di Borbone e sarà regina di Spagna. Una regina straordinaria, con una sensibilità e una lucidità rara per i monarchi del '700.
Questo è un romanzo sulle affinità elettive, sulle vocazioni interrotto, sul ruolo che spezza i sogni, sul talento che trova il suo corso anche se finisce per tradire la strada segnata dai padri. È un arazzo e Riva lo disegna recuperando la storia di due personaggi meravigliosi che non hanno nulla di scontato. Ci trovi Vivaldi e Farinelli, miserie e vanità, il gioco delle nazioni e le partite a scacchi dei matrimoni dinastici, ma soprattutto ci trovi la musica. La musica come ricerca, innovazione, sfida, apertura di orizzonti inattesi e inesplorati. Scarlatti non rispetta alcuna norma compositiva. «Non mischia gli stili. Si serve degli stili per accostare stati d'animo del tutto contrastanti, ovvero la verità interiore. E nessuno lo ha mai fatto prima». Scarlatti si nasconde davanti agli applausi, ma vede la musica del futuro.
Non racconterà sentimenti, ma pensieri. Pensieri alternativi. E l'Infanta? È proprio lei che insegna al maestro a strappare il velo delle convenzioni. L'infanta è un cambio di paradigma. È una rivoluzione, senza barricate.
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