Se un cantante "bianco" non può imitare un "nero"

Dopo le polemiche dell'anno scorso, gli artisti black sono interpretati tutti da Deborah Johnson (black)

Se un cantante "bianco" non può imitare un "nero"

Altro che Covid. C'è ben altro virus, ormai, che circola e miete vittime senza neppure più risultare drammatico. Grottesco, nel migliore dei casi. Ieri mattina, conferenza stampa del varietà di Raiuno Tale e Quale Show. Nel presentare gli imitatori canterini del programma, un Carlo Conti stranamente a disagio informa che «seguiremo l'indicazione di non far più interpretare cantanti neri da artisti bianchi». Indicazione? E di chi? E per quale motivo? Nessuno lo spiega ma tutti afferrano al volo (e non c'è chi abbia il coraggio di stigmatizzare). Un bianco truccato da nero? Orrore. Sai che avvilimento, che mortificazione per un nero autentico, vedersi rifatto da uno che nero non è? A ciascuno il colore suo. E guai a tralignare. Ma fateci capire: un uomo può truccarsi da donna; una donna può abbigliarsi da uomo; un adulto può contraffare un bambino; un bambino può scimmiottare un adulto ma un bianco non può mettersi sulla faccia un fondotinta color mogano? Aiuto. La dittatura del politicamente corretto monta sempre più, e rischia d'affogare anche i cervelli più sani. Pare che la prudenziale pensata sia venuta agli autori di Tale e Quale per colpa di alcune demenziali critiche sui social (vade retro, bianchi razzisti che sbertucciate gli afroamericani!) e si sia preferito evitare grane prossime venture chiamando una nera «autentica», Deborah Johnson (tranquilli: lei è figlia di un nero certificato, Wess del duo Wess e Dori Ghezzi) cui sola spetterà la patente d'imitatrice di cantanti black. Roba da non credere. Ma scusate tanto: e il gusto del travestimento? E il talento della replica? E -quel che più conta- la libertà d'espressione artistica? Se Sandra Mondaini rifacesse oggi Arabella, la bambina pestifera, il Telefono Azzurro la censurerebbe? Se Paolo Poli tornasse a dileggiare le gran dame di Dario Niccodemi, gli eredi del commediografo lo denuncerebbero? E quando i Legnanesi parodiano le «sciure» meneghine, l'Associazione Casalinghe si straccia forse il grembiule? Abbiamo sufficiente stima dell'intelligenza di Carlo Conti per accettare che si pieghi alle dilaganti storture di un malinteso senso del rispetto. Anche perché, come nota lui stesso, «finora da noi le imitazioni black erano sempre state eseguite senza intenzioni parodistiche, anzi con ammirazione». Negli anni 70, quando la pestilenza che oggi sta dando alla testa a troppi era ai primi sintomi, fu colpito un classico del «politicamente scorretto»: Via col vento. Ammissibile che nel doppiaggio italiano i neri parlassero ancora coi verbi all'infinito? Non sia mai: un antistorico, posticcio e grammaticale doppiaggio appiccò agli schiavi un lessico da Accademia della Crusca, congiuntivi compresi.

Risultato: legioni di fan imbestialiti e pronto ripristino dei dialoghi originali, gli unici appropriati ad un film anno 1939. Carlo carissimo: per quel che puoi, ferma questa deriva. Se no, di questo passo, arriverà il giorno che per cantare I Watussi di Edoardo Vianello bisognerà prima chiedere il placet ai governi del Ruanda e del Burundi.

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