Il mestiere di una stella è brillare. E quella di Giancarlo Giannini, recente ospite al Pesaro film festival, dal firmamento cinematografico si trasferisce sulla terra, nella celeberrima e ambitissima Walk of fame di Hollywood, dove Mimì metallurgico ne avrà una a partire da dicembre, quando raggiungerà Los Angeles per il battesimo.
Contento?
«È una grande soddisfazione. Sarò il secondo attore italiano ad averla. Nel 1960 ne fu assegnata una postuma a Rodolfo Valentino».
Meglio una stella o avrebbe preferito un Oscar?
«Non ho dubbi. La stella. La vedono tutti e resta per sempre».
Che rapporto ha con i premi?
«Fanno piacere ma guai a inseguirli. In Italia ho preso sei o sette David però, stranamente, a Venezia non mi hanno mai dato nemmeno un gatto nero (ride)».
Nessuno è profeta in patria.
«Esatto. Sa che cosa le dico... meglio così».
Eppure sfiorò una statuetta con Pasqualino settebellezze.
«Ebbe un grande successo negli Stati Uniti e Lina (Wertmüller, ndr) fu la prima regista italiana ad avere la nomination».
Purtroppo nessuno dei due portò a casa il premio.
«Gli americani sono difficili da convincere. Si aspettano sempre lo stesso stereotipo dell'italiano, mentre io ho recitato caratteri diversissimi come il siciliano o il napoletano, che in comune non hanno niente».
Il film è stato appena restaurato da Genoma e dal Centro sperimentale di cinematografia.
«Sono molto affezionato a Pasqualino perché è una storia vera che abbiamo scoperto quasi per caso. E io, quell'uomo, l'ho conosciuto davvero. Poi l'ho pure interpretato».
Racconti.
«Stavamo girando Mimì metallurgico ferito nell'onore a Cinecittà e, negli studi, si aggirava un signore con una tanica sulle spalle che vendeva bicchieri d'acqua fresca per cinque lire».
E chi era...
«Non lo conoscevamo, però sapevamo che era stato in carcere e, siccome avevamo anche noi una scena in galera, gli abbiamo chiesto cosa si fa in cella. Sa com'è... non siamo pratici».
E menomale.
«Da lì nacque una strana amicizia».
In che senso, strana?
«Entrammo in confidenza, al punto che il vero Pasqualino compare in Mimì metallurgico. Lo si vede quando annuncia l'arrivo del boss mafioso interpretato da Turi Ferro. È proprio lui ad aprire lo spiraglio».
E il film che poi puntò l'Oscar che cosa c'entra?
«In quell'occasione cominciò a raccontare la sua storia. Disse di essere ebreo, ricordò la sua esperienza nei campi di concentramento, il suo ruolo di kapò pur di salvarsi. Il ritorno a casa dove lo credevano morto e il suo stupore nello scoprire che tutte le sorelle si prostituivano».
Memorie allucinanti.
«E questo è il meno... Su tanti particolari abbiamo dovuto sorvolare. Troppo ribrezzo».
Ad esempio?
«Episodi di cannibalismo nel lager».
Perché «settebellezze»?
«Era un uomo molto brutto ma aveva successo con le donne. Piaceva. Per questo a Napoli dicevano tien e settebellezze. Il mistero del maschio che ha fascino benché esteticamente respingente».
Poi ha raccontato quella storia alla Wertmüller...
«Mentre Pasqualino parlava, ho registrato tutto. E l'ho fatto ascoltare a Lina. Farlo diventare un film è stato un attimo».
Che cos'è la gelosia, tema con cui si è misurato spesso?
«Ricordo quando si era ragazzi... Le nottate passate davanti alla porta di casa della fidanzatina per vedere se entrava qualcuno. Un sentimento naturale e normale».
E al cinema?
«Mi è rimasto impresso un film in particolare. Non fu mai fatto. Si doveva intitolare Partire o morire e avrebbe dovuto girarlo Michelangelo Antonioni. Eravamo a casa mia. Continuava a camminare tra il salotto e il balcone. Nervosamente. Allora gli chiesi se ci fossero problemi».
Che cosa le rispose?
«Mi disse che doveva fare un film sulla gelosia, il progetto più bello che ci fosse. Poi, all'improvviso mi domandò: Ma che cos'è la gelosia? Una malattia... Una spia... Morale, l'idea era talmente bella che non se ne fece nulla».
Antonioni è sempre stato criptico.
«Non mi dimenticherò mai Mastroianni che con lui girò La notte. Mi confidò che, leggendo il copione, non ci aveva capito nulla. Girando il film, nemmeno».
Quindi...
«Mi venne a trovare un giorno su un set in cui recitavo con Catherine Deneuve, con la quale all'epoca aveva una relazione, mi prese da parte e mi disse: Sono andato al cinema a vedere La notte. E neanche lì ci ho capito niente (ride)».
Lei li leggeva i copioni?
«Fino all'ultima riga ma forse sbagliavo».
In che senso?
«Un giorno chiesi a Marlon Brando quale fosse il suo segreto. Mi rispose di non leggere mai la sceneggiatura».
Invece che cosa ha consigliato a suo figlio Adriano?
«Io sconsiglio a tutti di fare questo mestiere ma non mi ascolta mai nessuno. Con lui accadde il contrario».
Fu lui a sconsigliare qualcosa a lei?
«Non proprio ma quasi. Mi offrirono di fare il remake di Travolti da un insolito destino e al posto della Melato doveva esserci Madonna, perché era un remake americano».
E lei?
«Io non volevo, lo avevo fatto con Mariangela. Era un film difficilissimo. Madonna mi invitava a tutti i concerti per cercare di convincermi, finché si arrese. Ma riprese l'assalto con Adriano».
Lui sarà stato contento...
«Macché. Un bel giorno venne e mi disse: Travolti dal destino, io non lo faccio».
E lei che cosa gli ha risposto?
«Non sarai mica scemo. E quando ti ricapita di dare quattro schiaffi a Madonna...».
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