"Sensorama", un viaggio negli inganni visivi dell'arte

Da Magritte alla realtà aumentata, a Nuoro si riflette sul rapporto tra l'occhio e la mente. Che è illusione

"Sensorama", un viaggio negli inganni visivi dell'arte

Nuoro. È la mostra dell'estate sarda. Perfetta fin dal titolo: Sensorama. Se siete sull'isola puntate a Nuoro, capoluogo barbaricino che vi stupirà per la vivacità dell'offerta culturale (tappa obbligata al Museo Etnografico, davvero ben fatto): al Man, museo che da sempre si dedica alla ricerca e ai linguaggi del contemporaneo, fino al 30 ottobre sono in mostra i trucchi, raffinati e seduttivi, della percezione visiva. Sensorama. Lo sguardo, le cose, gli inganni da Magritte alla realtà aumentata, curata da Tiziana Cipelletti e da Chiara Gatti, al suo debutto come direttrice del museo, è prima di tutto un viaggio leggero nella storia dell'ultimo secolo. Leggero e mai superficiale. Alcune stanze si prestano certamente ai like sui social (funzionano bene, abbiamo già testato, l'ambiente in bianco e nero firmato da Peter Kogler e lo Spazio ad attivazione di Marina Apollonio), altre stimolato l'attenzione dei più piccoli, altre ancora svelano artisti e lavori meno noti: tutto il percorso in verità ci interroga sulla capacità del nostro cervello di interpretare i segnali inviati dagli occhi. Chi inganna chi? È la vista a confondere la mente o è quest'ultima a prendersi gioco dello sguardo? E, ancora: perché tutto questo ci attrae così tanto?

L'introduzione dell'esposizione, di cui Electa ha editato un catalogo con ipnotica copertina, spiega il titolo mostrandoci in un manifesto che cosa sia questo sensorama: si tratta di un macchinario complesso, di cui vediamo a Nuoro i disegni e il progetto, ideato nel 1957 dal regista americano Morton Heilig per creare un cinema sinestetico, una sorta di realtà aumentata ante litteram che coinvolgeva vista, tatto, udito, olfatto. Lo spettatore era invitato a entrare in questo marchingegno grande, costoso e poco pratico per aver successo sul mercato. Poco importa, è l'idea a sedurci ancora. Al primo piano la mostra, che si avvale del contributo scientifico di Baingio Pinna, docente di psicologia all'Università di Sassari, comincia con gli antecedenti storici dell'illusionismo nell'arte: da un lato un René Magritte con Le Météore, bizzarra testa di cavallo, dall'altro un quadro dal soggetto simile firmato da Giorgio de Chirico. Si procede con la fotografia, regina dell'illusione: splendidi gli scatti allo specchio, datati anni Trenta, della francese Florence Henri e quelli, realizzati una decina d'anni fa, dal giapponese Kensuke Koike che gioca a ritagliare foto in bianco e nero, inserendo piccoli particolari che rendono il risultato finale surreale. Ci si diverte a cogliere le sculture anamorfiche di Marc Didou che si possono leggere solo riflesse in uno specchio convesso, posto a distanza opportuna, e stupiscono sempre le foto delle performance dell'artistar cinese Liu Bolin, massimo esperto nell'arte del camouflage. Il designer Denis Santachiara non firma solo l'allestimento della mostra, ma presenta anche un ambiente di specchi dove il suo Magic Spoon, cucchiaio di legno che ruota nel suo recipiente, ipnotizza; medesimo effetto lo provocano diverse altre installazioni di una mostra che si snoda su due piani e nella cui sala finale, cellulare alla mano, si possono attivare visioni digitali in movimento di opere alle pareti dopo essersi immersi negli interventi di Paolo Cavinato, che costruisce nuove prospettive con fili in fluorocarbonio, nell'ellisse blu di Felice Varini e infine nell'installazione di Marco Cordero, una grotta di libri scavati come le rocce del vicino monte Ortobene (sacro per chi vive da queste parti), materialissima e per questo ancor più suggestiva.

Un capitolo a parte lo meritano le videoinstallazioni curate da Storyville, che ha montato insieme spezzoni meravigliosi della cinematografia fantastica di George Méliès, abile sperimentatore grazie a primitive tecniche di stop frame da cui poi presero ispirazione le avanguardie artistiche (vedi alla voce Man Ray,

Cocteau, Duchamp). Si termina la visita e si ha subito voglia di tornare dentro quel mondo magico per aguzzare gli occhi, per scovarne tutti i trucchi. Per scoprirsi, una volta tanto, attori della visione e non meri spettatori.

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