L'oro di Napoli, per Ferzan Ozpetek, è l'utero dorato d'una vergine, esposto in teca all'interno della Farmacia storica degli Incurabili, luogo esoterico e tempio della medicina partenopea. Un organo sigillato e minaccioso, come le misteriose donne che popolano Napoli velata (dal 28 con Warner), giallo vecchia scuola del visionario regista d'origine turca, che qui aggiunge il nero dell'intrigo al rosso del sangue. C'è Giovanna Mezzogiorno nella parte d'un medico che esegue autopsie e, mentre sembra riservata di giorno, di notte scatena la sua selvaggia sessualità al punto che Alessandro Borghi, «madrino» del Lido e qui suo partner d'erotismo, si sente in dovere di precisare: «Meno male che c'ero io, in quelle scene bollenti. Se al mio posto non ci fosse stata una bella persona...» E che mai succedeva, tra un lato A e uno B in bella evidenza? Per fortuna, l'ingenuo è stato fatto tacere. Poi, ecco Anna Bonaiuto, che tradisce la fiducia della sorella con il marito di lei. E Isabella Ferrari, smagrita e irriconoscibile, che si accoppia con Lina Sastri dietro a una maschera: è lo stesso velo simbolico che copre ogni nuda verità, finendo col rivelare assai più di quanto possa celare. Come la statua marmorea del Cristo Velato o il panno trasparente calato innanzi ai «femminielli» che inscenano il parto gay della «figliata»: un rito raccontato benissimo da Curzio Malaparte nel suo libro La pelle. Se non fossimo in tempi di politicamente corretto, verrebbe da pensare che Ozpetek detesti le donne al punto di metterle sotto una lente scura, servendosi di Napoli, che per lui «è femmina». Una femmina malavitosa, s'intende, con l'ormai iconica Maria Pia Calzone nel ruolo d'una poliziotta con pistola bene in vista: fa molto Gomorra, ma intanto indaga seriamente sui furti d'opere d'arte.
In realtà, va in scena il solito universo di Ozpetek, tra fantasmi, cibo in abbondanza, tombole vajasse e case barocche, come quella in cui abita la protagonista del mistery partenopeo, dimora sontuosa del principe Caracciolo, già a disposizione di Vittorio De Sica per L'oro di Napoli. Napoli è femmina: come si fa a non innamorarsene?, si chiede Ozepetek, che mettendo in scena La Traviata al San Carlo, sei anni fa, scoprì il fascino di Partenope. «Fino ad allora, pensavo che soltanto registi napoletani potessero girare film su Napoli, città che mi somiglia perché prende in giro la morte, come faccio io. Fu Elio Petri a dirmi che tutto ciò che facciamo, è per allontanare la morte», riflette Ferzan, che ha coinvolto la cantante Arisa, affidandole l'interpretazione del brano Vasame, già cavallo di battaglia di Peppe Barra, qui il sapiente Pasquale. E torna un po' a casa anche la Mezzogiorno, di padre napoletano: sono passati 15 anni da quando Ozpetek la diresse nel mélo La finestra di fronte. «Il mio personaggio è una donna borghese, che porta avanti il suo tunnel parallelamente alla realtà. Ne uscirà? Non lo sappiamo. Ho vissuto la scena d'amore con normale tensione, ma provando subito una grande chimica con Borghi. Nessun momento d'imbarazzo», spiega la Mezzogiorno, che alla cinepresa offre la sua pelle nuda e la forma fisica ritrovata, dopo la maternità.
Per gli amanti di Napoli, così com'è bella e struggente -, Napoli velata è film da vedere, a dispetto d'una trama affastellata e dell'esubero di estetica gaya: scorci romantici in cima a lunghe scalinatelle («La scala, insieme al velo, è elemento qui fondamentale», spiega il regista); mare e spiaggia, con i pini sullo sfondo; marciapiedi lucidi di struscio e quel senso di pienezza di vita, che conduce a morte, così connaturata a Partenope.
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