La sinistra acchiappatutto teme di perdere la cultura

La destra non è ancora al governo ma già si alzano le prime voci allarmate: Meloni nominerà solo i suoi?

La sinistra acchiappatutto teme di perdere la cultura

Dopo aver occupato l'occupabile, intasato enti ed istituti, conquistato la testa di case editrici e giornali, invaso i cartelloni dei festival, monopolizzato la conduzione di programmi televisivi e radiofonici, ecco, dopo tutto questo, gli intellettuali di sinistra (nella più ampia accezione del termine) ora chiedono alla destra, vincitrice delle elezioni politiche, di non accaparrarsi tutte le poltrone disponibili nel mondo della cultura. Cosa che il centrodestra non ha mai fatto per una serie di motivi, uno peggio dell'altro: disinteresse, incapacità e «sudditanza» psicologica nei confronti della sinistra. La stagione dei «professori», nel centrodestra, durò lo spazio di un mattino: furono messi ai margini e se ne andarono. La propaganda comunista ha stravinto e ha convinto anche il centrodestra più sprovveduto che la vera cultura sia solo a sinistra. Per questo, negli anni in cui ha governato il centrodestra, nel campo della cultura non è mai successo niente: tutto è proseguito come prima. Gli intoccabili sono rimasti intoccabili e le istituzioni, anche locali, di centrodestra hanno promosso manifestazioni in cui era regolarmente escluso... il centrodestra stesso. C'è anche da dire, per onestà, che quando ha cercato di invertire la rotta, il centrodestra talvolta è incappato in episodi spiacevoli, più per inesperienza che per cattiva volontà.

Aggrappandosi a un paio questi casi isolati, uno risalente addirittura a undici anni fa, Michela Murgia ha scritto sull'Espresso che «la prima libertà in una democrazia è quella della parola contraria e per questo la cultura (...) è la sua gemella naturale». Verissimo. Strano se ne sia accorta soltanto ora: non le sembrava bizzarro incontrare sempre le solite facce (e le solite idee) nelle sue «tournée» in tutta Italia, nelle sue ospitate televisive, nella sua frequentazione dell'ambiente editoriale? Si è mai chiesta perché i salotti televisivi come Chetempochefa, tanto amato dagli editori, non abbiano mai ospitato un autore di destra? Non le è parso insolito che il direttore Nicola Lagioia, abbia dovuto sottolineare che il Salone del libro di Torino è aperto a ogni voce, come se fosse una (giusta) concessione e non il minimo richiesto a una manifestazione pubblica? Non rimane basita davanti alla saggistica italiana in cui è quasi impossibile imbattersi in una «parola contraria»? Mentre mezzo mondo culturale non aveva diritto di parola o quasi, Murgia, invece di difendere le «parole contrarie», era impegnata a chiedere agli editori di epurare il nostro Massimiliano Parente, uno scrittore allineato solo a se stesso (anzi, è così disallineato da non essere in linea neppure con se stesso). Aveva fatto una battuta offensiva? Poteva querelarlo. Invece ha cercato (democraticamente?) di zittirlo.

Il critico d'arte Vincenzo Trione scrive sul Corriere della sera un corsivo pieno di riflessioni interessanti: la destra ha l'occasione di «presidiare» la cultura per la prima volta. Chiunque sia il nuovo ministro della cultura, avrà il dovere di «ispirarsi alla lezione dei maestri del pensiero conservatore italiano, a lungo condannata a una condizione di subalternità». Conoscenza della tradizione e salvaguardia dell'identità nazionale potrebbero essere i due legittimi fari dell'azione di governo. Ha ragione Trione a dire che la destra, per dare un segnale di discontinuità, non dovrebbe scegliere in base alla fedeltà ma in base alla competenza.

Ineccepibile. Però articoli simili vorremmo leggerli anche quando al potere ci va (e di solito ci resta a lungo, con o senza elezioni) la sinistra. Quest'ultima non fa prigionieri, applica alla lettera la dottrina dello spoils system, che significa sistema del bottino, piazzando ovunque i suoi fedelissimi (tra i quali ci sono anche molte persone di valore, specifichiamo). Inoltre il centrosinistra può vantare il sostanziale sostegno delle potenti burocrazie ministeriali e del coro dei media. Se per caso una carica finisce a destra, nelle redazioni si prepara il plotone d'esecuzione. Un plotone spesso particolare, armato di bianchetto: il silenzio è la migliore strategia, fa comodo confinare la destra nel limbo della «non esistenza». Comunque, già possiamo notare una cosa: l'unico ministero di cui non si parla nel toto-ministri è quello della Cultura. Forse è ritenuto minore per motivi incomprensibili.

Rinunciando a dire la sua in questo settore, il centrodestra ha spalancato le porte alla mancata comprensione delle sue riforme (scolastiche, economiche, giuridiche, sociali). Una ventata di liberalismo potrebbe forse risvegliare le energie assopite di un Paese che non conosce più la propria cultura.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica