Los Angeles - Che fine ha fatto il mitico Iena Plissken di Fuga da New York (1981) e del seguito Fuga da Los Angeles (1996)? Cioè, che fine ha fatto Kurt Russell, uno degli attori preferiti di schiere di registi di genere e cinefili d'ogni genere? È dal 2007, da quando Quentin Tarantino, in uno dei suoi tanti coup de cast, lo aveva tolto dalla naftalina per rilanciarlo nel segmento tutto stunt Death Proof di Grindhouse, che Russell non tornava al cinema. Attore fin da bambino (non tutti sanno che era un child-actor, protagonista di numerosi telefilm della Disney da quando aveva 10 anni di età), Russell da olte dieci anni sembra aver preferito la vita privata, il suo ranch ad Aspen, in Colorado, la sua fattoria con vigneti a Santa Barbara, California, la vita familiare con la sua compagna di lungo corso Goldie Hawn, mai sposati per questioni di principio, ma super-coppia di Hollywood. Oggi, a 63 anni, la faccia ancora da ragazzino e quel sorriso tra la presa per i fondelli e la minaccia di Iena, Russell torna sul grande schermo col thriller di rapina The Art of Steal, scritto e diretto da Jonathan Sobol, accanto a Matt Dillon. Russell interpreta Crunch Calhoun, attrazione sfiancata e acciaccata di uno show itinerante di temerari della motocicletta. Sebbene arcistufo del fratello paraculo (interpretato da Dillon), che lo ha coinvolto in una rapina andata a male in Polonia, Crunch si sente in dovere di aiutarlo - insieme alla loro vecchia gang - quando gira voce su un raro manoscritto stampato da Johannes Gutenberg. Un B-movie d'azione con vecchie glorie all'assalto e una premessa alla Umberto Eco. Ne abbiamo parlato con Russell a Los Angeles, al Beverly Hills Hotel, quello dei Golden Globes: una leggenda vivente sempre disponibile, gentile e alla mano come pochi.
Mister Russell, da Fuga da New York in poi lei ha sempre fatto su e giù col cinema. C'è chi dice che la sua carriera sembra guidata da un ubriaco. Ne conviene?
scoppia a ridere. «Buona questa! Non posso negarlo. Ma diciamo che il guidatore sono io. Anche perché il vino è la mia vera passione. Ho imparato a fare vino da Francis Ford Coppola, con cui non ho mai lavorato - accidenti a lui - ma a cui sono legato da una stretta e profonda amicizia».
Fin da ragazzino lei ha mostrato altri interessi, olte alla recitazione. Ce ne parla?
«Quando ero sotto contratto alla Disney negli anni '60, decisi di realizzare il mio sogno di diventare un giocatore di baseball, giocando nella Minor League durante i mesi di pausa tra un telefilm e un altro. Giocavo seconda base, ero bravino, poi come sempre succede in queste storie mi ruppi un ginocchio, nel 1973, e la mia seconda carriera finì. Tornai alla serie western The Quest a tempo pieno, fino alla sua cancellazione nel 1976. Fu allora che mi comprai un terreno ad Aspen. Sono un amante della montagna e della neve. Poi è stato tutto un avanti e indietro con lo show business».
L'incontro con Goldie Hawn anche è stato importante per lei, vero?
«Incontrai Goldie nel 1984 sul set della commedia Swing Shift. Siamo stati insieme da allora. Da lei ho ereditato la mia figlioccia Kate Hudson, in realtà una figlia vera e propria per me, con me da quando aveva nemmeno un anno di età; con Goldie poi abbiamo avuto due figli insieme. Wyatt, il più grande, gioca a hockey su ghiaccio professionalmente. Ho proiettato su di lui l'atleta frustrato dentro di me».
Ora un nuovo film.
«È un progetto che ha richiamato la mia attenzione. Non avrei recitato in The Art of Steal se non mi avesse eccitato a priori. Non ho ragione per fare qualcosa senza un autentico interesse. Non aspiro a tornare in auge, come tanti vecchi arnesi. Sono pieno di cose nella vita.
Il vino è una di queste cose?
«Come dicevo, amo il vino e l'arte vinicola da oltre 20 anni. Ce la sto mettendo tutta per creare il Pinot noir e lo Chardonnay perfetti nel mio vigneto sulle colline di Santa Rosa. La mia etichetta si chiama Gogi, il mio soprannome. Spero di poter far concorrenza un giorno a Coppola e al suo Rubicon. Ma The Art of Steal mi ha fatto venir voglia di uscire dalla vigna e tornare sul set».
Perché?
«Per via degli stunt, dall'azione, della velocità, dell'intrigo. Tutte cose che adoro e che ho fatto spesso col mio regista/compare, John Carpenter.
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