da Venezia
E, come sempre è capitato con i grandi autori, il Vaticano non ha nulla da temere da The Young Pope di Paolo Sorrentino. Così la domanda, scontata ma inevitabile, fatta alla conferenza stampa al regista sulle possibili reazioni della Santa Sede alle dieci puntate della serie su Sky, ha una sola risposta per Sorrentino: «È un problema del Vaticano, non mio. Ma non è neanche un problema perché se avranno la pazienza di vederlo fino in fondo capiranno che è un lavoro che affronta con curiosità e con onestà, senza nessuna voglia di fare sterili provocazioni e senza alcuna forma di pregiudizio e condanna, contraddizioni e difficoltà ma anche cose affascinanti del clero, delle suore e di un prete un po' diverso dagli altri perché è il Papa». Eccolo dunque il protagonista, Jude Law, l'attore londinese che è riuscito nel miracolo di dare le esatte sfumature e ambiguità di questo nuovo e giovane Papa che, almeno nei primi due episodi, gioca a spiazzare non solo la Curia romana ma gli spettatori tutti: «Per me è stata un'opportunità per lavorare con Paolo Sorrentino e per dipingere un personaggio con contrasti e contraddizioni. All'inizio mi preoccupava l'idea di interpretare un Papa ma Paolo mi ha sempre ricordato che parlavamo semplicemente di un uomo che poi si dà il caso fosse anche un Pontefice. Comunque sono stato colpito dal linguaggio visivo meraviglioso del regista e io ero un colore sulla sua tavolozza».
Nei primi due episodi, da 56 minuti ciascuno, presentati fuori concorso alla 73a Mostra d'arte cinematografica di Venezia la sensazione è che il regista, autore anche della sceneggiatura con la collaborazione di Umberto Contarello, Tony Grisoni e Stefano Rulli, stia costruendo almeno quattro direzioni narrative che verranno poi sviluppate successivamente in quello che Sorrentino definisce, senza alcuna esitazione, «un film di 10 ore realizzato con tutta la libertà e il budget di cui avevo bisogno». «Ma non è stata certo una passeggiata - aggiunge il regista - è stato impegnativo ma anche eccitante approfondire i personaggi grazie all'ampia dilatazione dei tempi, concedendosi molte digressioni che, mi sembra, non ci siano sempre nelle serie. Il tutto con una tenuta narrativa maggiore rispetto ai miei film».
Nel variegato cast che vede, tra gli altri, anche Diane Keaton, Cécile De France, Javier Cámara, Ludivine Sagnier e Toni Bertorelli, un ruolo quasi da protagonista lo ha il napoletano Silvio Orlando alias il Segretario di Stato, cardinal Voiello, che ha ringraziato «la mezza dozzina di dialogue coach che ho sterminato per recitare in inglese». Grazie a lui o per colpa sua, dipende dai punti di vista, i tifosi partenopei faranno un salto sulla sedia quando dal 21 ottobre su Sky Atlantic vedranno Silvio Orlando disporre tre cellulari sulla scrivania papale con altrettante cover di giocatori del Napoli, Insigne, Hamsik e Higuain. Peccato che intanto quest'ultimo sia già passato, a sorpresa e in una tempesta di polemiche, alla Juventus. Così anche quando il cardinale Voiello (un cognome forse non casuale visto che l'omonimo pastificio è stato sponsor del Napoli) si affida a San Pipita (soprannome di Higuain) ci sarà qualche altro dolore di pancia: «La Chiesa - ironizza Sorrentino - si occupa con una certa frequenza di fede e tradimento e quindi mantenere nella serie Higuain con la maglia del Napoli aiuta a ricordare questi due concetti».
Piccole briciole di Pollicino che disegnano il percorso, facilmente individuabile, e i tic tipici di Sorrentino che realizza una serie visivamente sontuosa ma anche piena di ironia come quando fa dire, sempre al personaggio di Silvio Orlando, che gli fanno male i capelli. Famosa battuta di Deserto rosso di Michelangelo Antonioni che per Sorrentino è «la quintessenza dell'essere sciocchi e lì per il prete sciocco mi sembrava utile».
«Ma - aggiunge - nel lavoro di documentazione iniziale ci siamo ben presto resi conto che in Vaticano tra i cardinali il tasso di comicità è molto alto. Abbiamo provato a riprodurlo nei vari episodi anche perché il far ridere è una mia fissazione. La verità è che ho cercato di farlo in tutti i miei film con risultati, devo ammettere, altalenanti».
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