"È sottomissione". J.Lo nel mirino per aver scelto il cognome del marito

Dopo il matrimonio, la pop star accusata di aver ceduto al "patriarcato" per la scelta di chiamarsi Affleck. Levata di scudi delle femministe: "È in gioco il potere..."

"È sottomissione". J.Lo nel mirino per aver scelto il cognome del marito

Oddio, la favola s'è interrotta. I violini, di colpo, hanno smesso di suonare e l'idillio s'è spezzato. Il matrimonio tra Jennifer Lopez e Ben Affleck è riuscito a diventare una questione di femminismo tradito, di patriarcato imperante e di potere machista. Tutta colpa della stessa J.Lo, che negli atti ufficiali delle nozze ha deciso di lasciare il proprio cognome e di adottare quello del marito. Apriti cielo. D'improvviso, per gli oltranzisti del politicamente corretto, "Jennifer Affleck" si è trasformata in un esempio negativo e la sua storia, fino all'altro ieri celebrata come un esempio di autodeterminazione femminile, è stata marchiata con lo stigma della "sottomissione".

La scelta della cantante di assumere il cognome del consorte ha indignato gli opinion leader del moderno pensiero unico e sull'autorevole New York Times è scattato il pubblico rimprovero. "Una donna che prende il cognome del marito mi sembra una sottomissione, un gesto per dire 'Io appartengo a lui'. In questo momento difficile per il femminismo in America, la scelta è particolarmente scoraggiante", ha attaccato sul quotidiano statunitense la scrittrice Jennifer Weiner. Non solo. L'opinionista, riferendosi alla vicenda di J.Lo, ha pure azzardato un improbabile accostamento con la "Repubblica di Gilead" di cui si parla nel libro "Il racconto dell'Ancella” di Margaret Atwood, trasposto poi in una popolare serie tv . Ovvero, una teocrazia distopica in cui le donne addette alla riproduzione prendono il nome del comandante a cui sono asservite.

Secondo la scrittrice Weiner, il gesto della popstar affonderebbe le radici nel patriarcato e nelle leggi medievali inglesi secondo cui la moglie perdeva, anche per la legge, la sua identità dopo il matrimonio. E pensare che, prima di questa scelta coniugale, la storia tra Jennifer e Ben era considerata alla stregua di una moderna favola da sogno. La stessa cantante era applaudita come una paladina della fluidità di genere, della body positivity, delle battaglie pro-aborto e di tutte quelle istanze tanto care ai progressisti d'oltreoceano. Era, insomma, l'icona perfetta del politically correct.

Peccato solo per quel cognome scritto sulla licenza di matrimonio: come ha osato? Gli inegui interpretano la scelta come un gesto di romanticismo, ma gli alfieri del femminismo no. "La gente considera prendere il cognome del marito una simpatica tradizione. Ma è in gioco il potere. E il potere conta", ha commentato al riguardo Rachael Robnett, psicologa dell'Università del Nevada. Eppure, nessuno in passato si era indignato per Michelle Obama, Hillary Clinton o Angela Merkel: tutte donne influenti con il cognome del consorte.

Il sospetto, a voler essere maliziosi, è che l'alzata di scudi sulla popstar americana possa celare il tentativo trasformare una questione ideologica in una battaglia di civiltà.

Al momemento, però, gli stessi americani sembrerebbero non avvertire il problema: secondo un sondaggio del 2015 della rubrica del Times The Upshot, negli States solo il 20% delle donne continua a mantenere il proprio cognome dopo essersi sposata.

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