"Dopo Stones e Zucchero ora lancio i nuovi talenti"

Il produttore (e musicista) Don Was è presidente della Blue Note: "Tornerei ai tempi di Sinatra che incideva un disco al volo"

"Dopo Stones e Zucchero ora lancio i nuovi talenti"

Don Was, un carneade per molti... Eppure è un'eminenza grigia del mondo musicale, il magico produttore di molti dischi dei Rolling Stones, di Bob Dylan, di Bonnie Raitt, di Elton John, di B.B.King fino ad arrivare a Zucchero. La sua longa manus ha segnato i dischi di tutte queste star, eppure lui, a 60 anni, aveva un sogno... Riportare alla luce i classici del jazz che ascoltava quand'era ragazzo. Così, grazie alla sua fama e alle sue conoscenze, è diventato presidente della gloriosa Blue Note, la casa discografica che ha fatto la storia del jazz, e ne celebra i 75 anni di attività con una serie di iniziative che partono con il doppio album antologico The Best of Blue Note e con nuove uscite di artisti come Takuya Kuroda, Bobby Hutcherson, Wayne Shorter.
Cosa rappresenta per lei la Blue Note?
«La storia. La casa fu fondata da Alfred Lion che, nell'inverno 1939, portò in studio le stelle del piano boogie woogie Albert Ammons e Meade «Lux» Lewis per incidere le prime canzoni. Da lì è nata una serie di incisioni che rappresenta il testamento del jazz. Io mi sono detto: a chi interessa questa storia? Come faccio a mantenerla viva?».

E cosa si è risposto?
«Che bisogna lavorare contemporaneamente sul presente e sul passato. Ovvero riportare alla luce i dischi rivoluzionari, quelli che hanno cambiato la musica, e far conoscere i nuovi talenti».

Quindi?
«Per avvicinare i neofiti al mondo del jazz esce in questi giorni una doppia antologia che unisce personaggi come Thelonius Monk, che nella sua geniale follia ha inventato e al tempo stesso superato il bebop, e artisti moderni come Norah Jones. Poi tutti i mesi pubblicheremo dischi in vinile, con le copertine originali e a prezzi molto bassi, dei personaggi che hanno fatto la storia come lo stesso Monk, Art Blakey, il batterista che ha cambiato le regole del jazz con iniezioni di funky, come Miles Davis che ha inventato la musica senza confini, come Cecil Taylor la cui ricerca si spinge fino a limiti estremi, come lo stesso Jimmy Smith che è stato il primo a portare l'organo elettrico al grande pubblico».

E per i nuovi talenti?
«Ad esempio abbiamo scoperto Gregory Porter che quest'anno ha spopolato ai Grammy. Grande voce. L'ho sentito per la prima volta in un piccolo club di New York chiamato Smoke, un barbecue bar, ed è stato amore a prima vista».

Lei comunque ha pubblicato anche dischi country come quello di Rosanne Cash o rock come quello del tastierista di Tom Petty Benmont Tench.
«Quello di Rosanne Cash è stato accolto come un piccolo capolavoro. In realtà io cerco sempre la musica delle radici, e in America le radici sono variegate e molteplici».

Il suo nome è legato alle grandi produzioni rock, quali ricorda con maggior piacere?
«Produrre i Rolling Stones è stato un altro sogno realizzato. Da Voodoo Lounge a A Bigger Bang è stato un divertimento continuo. Gli Stones sono fantastici, sono come una squadra di basket, come i Detroit Pistons, grandi solisti al servizio del collettivo. Tutti sanno fare canestro ma sanno anche passare la palla; c'è un meraviglioso interplay tra i riff di Keith Richards e la voce di Mick Jagger e il basso e la batteria partecipano al “gioco” sempre in primo piano, per aiutare la squadra. Accade a pochi gruppi, come il Miles Davis Quintet o la band di Wayne Shorter».

E Bob Dylan?
«È un bravo ragazzo e un grande professionista. Di solito arriva in studio con le idee chiare e gli arrangiamenti già pronti. Qualche volta gli ho forzato un po' la mano inserendo nei dischi strumenti inediti per lui».

Si fa più in fretta a citare i musicisti con cui non ha lavorato...
«In effetti sono tanti, da Kris Kristofferson, che preferiva suonare da solo con la chitarra acustica, a Bonnie Raitt, il cui blues elaborato l'ha portata a conquistare diversi Grammy. I musicisti fanno arte, io sono il sarto che mette insieme il tutto».

Ha lavorato anche con Zucchero.
«Un uomo pieno di energia che, pur non avendo radici afroamericane, è entrato bene nel mondo del blues attualizzandolo e rendendolo più vicino al suo pensiero».

Come dev'essere un disco per diventare un successo?
«Serve la tecnologia, ma io malgrado tutto ho ancora l'idea romantica dei musicisti che vanno in studio per creare insieme. Mi piacerebbe si tornasse ai tempi in cui Frank Sinatra incideva un album in poche ore con l'orchestra. O portare in studio Neil Diamond che registra in presa diretta con una band di 5 elementi. A volte ci vuole anche l'elettronica, ma è sempre meglio il lavoro di una “squadra di basket”».

Lei è anche un bassista...
«Suono nel disco di Carlene Carter in uscita in questi giorni. Poi ho formato con mio fratello i Was Not Was e Orquestra Was, con cui hanno collaborato artisti come Herbie Hancock».

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