Johnny Depp tenta di riabilitare la propria reputazione attoriale con Minamata, un film di denuncia da lui prodotto, oltre che interpretato.
Il progetto, dal momento che il film approda non nelle sale ma direttamente in streaming, deve aver risentito di quanto occorso al divo negli ultimi anni. La sua, del resto, è una stella appannata, un po’ per l’annosa identificazione nel caricaturale pirata Jack Sparrow, un po’ per l’accusa di maltrattamenti domestici da parte dell’ex moglie.
“Minamata”, diretto da Andrew Levitas, si inserisce nel filone di titoli come “Erin Brockovich” e “Cattive acque”, in quanto relativo a un caso di inquinamento ambientale, ma riesce ad essere anche altro: il biopic di una celebre figura del foto-giornalismo americano. Le due anime si congiungono perché il film è tratto da una storia vera, quella della realizzazione del servizio fotografico che fece conoscere al mondo una drammatica vicenda ambientata in Giappone.
Nel 1971 Eugene Smith (Depp), fotografo documentarista americano al servizio da anni della rivista LIFE, si trova alla deriva sia nella professione che nel privato: è in rotta con i figli, al verde e col vizio della bottiglia. Contattato da un'interprete giapponese, Aileen (Minami), è inizialmente riluttante ma poi accetta di recarsi a Minamata, dove l'acqua è da anni contaminata dalle sostanze rilasciate da una fabbrica locale. L’idea è scattare foto che portino all’attenzione internazionale gli effetti di quanto sta avvenendo nella piccola comunità costiera: malattie gravi e irreversibili dovute ad avvelenamento da mercurio. Un’epidemia passata alla storia e ancora oggi presente, al punto che a livello medico esiste la sindrome di Minamata.
Il film dettaglia le minacce ricevute dal fotografo durante il lavoro d’inchiesta e gli sforzi eroici degli abitanti della zona.
Depp è a suo agio nei panni di un protagonista dalla spiccata testardaggine e, come spesso avvenuto nella sua carriera, ricorre al trucco per completare quella che è una vera metamorfosi fisica. Avendo visto il film doppiato (malamente), è difficile giudicare appieno la sua performance.
Di sicuro il suo nome funziona da riflettore su qualcosa che merita di essere conosciuto non solo come fatto storico, ma per il protrarsi in epoca moderna della sua gittata drammatica. La devastazione e la sofferenza catturate nel reportage di cui osserviamo la genesi nel film, infatti, non hanno ancora trovato piena giustizia.
“Minamata” è un’opera d’impegno civico e politico ma anche una riflessione sul ruolo della fotografia e sul suo potere illuminante, sia a livello di informazione che di espressione artistica. Due anime di un medium di assoluto fascino a cui il film rende onore, ora con l'amore per la composizione dell'immagine, ora riproponendo scatti che hanno documentato un’amara verità storica. Basti pensare alla foto cui si rende omaggio in chiusura del girato: “Il bagno di Tomoko”, uno dei più importanti ritratti fotografici del secolo scorso. Un’istantanea annichilente che ha la sua forza in una poesia eterna, quella che vede una madre accudire la carne della sua carne con dignità, amore e armonia, nonostante l’immagine sia impastata anche di sofferenza. La cosiddetta pietà moderna, una foto su cui meditare tenendo in sottofondo un brano della colonna sonora del film, firmata da Sakamoto, “Minamata piano theme”.
Una sintesi fotografica tanto dilaniante ci ricorda cosa sia l’arte. Il film, in questo senso, tenta solo la pallida evocazione di una tale potenza.Su Sky Cinema Uno stasera alle 21.15 e in streaming su NOW (disponibile anche on demand).
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