Il teatro greco si ribella. I classici come baluardo contro la cancel culture

L'Istituto nazionale del dramma antico continua a mettere in scena gli "scorretti" Eschilo e Aristofane

Il teatro greco si ribella. I classici come baluardo contro la cancel culture

Una stagione, quella dell'Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa, che alla luce dell'oggi si potrebbe dire rivoluzionaria, più che classica. Una stagione fatta di testi che negli Stati Uniti o in Canada non soltanto non si sarebbero potuti studiare, ma nemmeno leggere. Figuriamoci esser messi in scena. «Siamo un baluardo. Un polmone pulsante di autocoscienza contemporanea», afferma con orgoglio Marina Valensise, consigliere delegato dell'INDA dallo scorso anno all'opera per un rilancio globale dell'istituzione. Di qui la scelta di drammaturgie che farebbero rizzare i capelli in testa agli esponenti di quella cancel culture che domina, in America e in parte in Europa, sulle decisioni legate non solo a sovvenzioni, creatività e reazioni del pubblico e della critica, ma anche a programma scolastici e accademici.

Oggi debuttano le Nuvole di Aristofane, in scena fino al 21 agosto con la regia di Antonio Calenda, mentre a luglio sono andati in scena Coefore/Eumenidi di Eschilo con la regia di Davide Livermore e le Baccanti di Euripide diretto da Carlus Padrissa de La Fura dels Baus, che prosegue anche in agosto: perché questi classici potrebbero oggi essere in odor di censura? «I passi sarebbero tutti quanti da espurgare se ci mettiamo nell'ottica del politicamente corretto», ci spiega il professor Walter Lapini - traduttore di Eschilo per gli spettacoli di INDA e tra l'altro autore, con lo pseudonimo Alvaro Rissa, di testi che fanno rivivere latino e greco con ironia. «In Eumenidi, Apollo parla per bocca di Zeus e dice che il padre è più importante della madre, l'uomo più della donna. Che la morte di un pater familias non vale quanto la morte di una donnetta e teorizza su questo, con una furiosa biologia secondo la quale l'uomo dà il seme e la donna ha una funzione secondaria perché fa crescere questo seme e basta. E non si tratta di due o tre versi: tutta una parte della tragedia è giocata su questa visione del mondo sostenuta dagli Dei».

Inammissibile, secondo i diktat del cosiddetto woke ovvero la nuova consapevolezza sulle discriminazioni sessuali e pregiudizi razziali che tanto seguito sta avendo nel mondo anglosassone: venendo meno la possibilità di cancellare due o tre righe, probabilmente Eschilo andrebbe eliminato del tutto dai libri di testo e dai copioni mondiali. Certo in scena a parlare è un dio, certo la materia è ancestrale, primitiva, e l'elaborazione greca era magari già oltre, eppure le parole sono quelle e per molto meno registi e drammaturghi hanno visto saltare incarichi e firma dagli script: «Lo scontro padre-madre nasce da una memoria antichissima che i cancellatori culturali - veri somari, strumentalizzati da furboni che hanno interesse a ridurre a larva l'insegnamento umanistico - nemmeno conoscono», prosegue Lapini. «I greci sono un popolo formato dall'incontro di una popolazione indoeuropea che praticava il culto del cielo, del padre, del maschio, inserita su un contesto mediterraneo matriarcale, femminile. Al di là di Eschilo, i miti che scandalizzano questi poveracci illustrano scontri antichissimi di civiltà, come accade nella Bibbia: anche i testi sacri allora sono scorretti, guerrafondai, sessisti, discriminatori. Se vogliamo tornare ai regimi totalitari, dobbiamo eliminare tutto di ciò che ci viene dai classici perché i greci parlano male delle donne, delle altre razze, dei barbari: Aristotele scrive che ci sono popoli nati schiavi, che le donne sono uomini mancati. Ma allora dovremmo cannoneggiare anche le piramidi egizie, come fanno i talebani, perché costruite con il lavoro dei neri nubiani».

Le Nuvole dovrebbe quantomeno avere il beneficio della leggerezza, eppure anche qui il regista Calenda, nonostante una vita dedicata al teatro dovrebbe averlo immunizzato dalle polemiche, si sente investito del ruolo di protettore di un patrimonio che subisce, giorno dopo giorno, attacchi continui: «Aristofane è un conservatore illuminato: l'Atene a lui contemporanea è decaduta, con l'avvento dei demagoghi. Il nuovo cittadino medio, rappresentato da Strepsiade, invoca la filosofia dei sofisti, ma solo perché può dargli i mezzi per truffare il prossimo e delinquere. Quando il pensiero soccombe, ecco l'abbassamento dei valori democratici e la contemporaneità. I classici sono una specula che mostra cose che ci erano oscure», commenta Calenda. «La cancellazione dei classici è operazione barbara, bieca, per togliere agli intellettuali strumenti di conoscenza. Nelle Nuvole ad esempio c'è una forte valenza ideologica che gli intellettuali senza coraggio di oggi faticano a vedere. Assistiamo a una evasione dalla realtà e infatti letteratura e produzione teatrale odierne sono esangui: i classici sono ferite al corpo vigile della società che senza di essi diventa pensiero debole.

L'Istituto del Dramma Antico ha deciso di fare della classicità un'arma contro l'epurazione dell'arte e lo dimostra la prossima stagione 2022 in preparazione: la trilogia completa dell'Orestea di Eschilo diretta da Livermore, Edipo Re diretto dal più grande regista mondiale d'opera, Robert Carsen, e il debutto di Jacopo Gassman con Ifigenia in Tauride: Non possiamo più Shakespeare, Melville, Omero? Eccoci pronti a combattere, chiosa Valensise.

Inda funziona da 107 anni perché ripropone il classico in funzione del contemporaneo: non è un episodio di divertimento e distrazione, ma teatro come essenza della vita civile e sostanza dell'agire, com'era nell'Atene del V secolo.

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