Tiny Pretty Things, la serie sulla danza fatta da veri ballerini. Ma non tutto convince

Uscita a dicembre 2020, ha scalato le classifiche in poche settimane. Ma quello che sembrava un rinnovo certo si sta facendo attendere

Tiny Pretty Things, la serie sulla danza fatta da veri ballerini. Ma non tutto convince

"Se una ballerina cade e nessuno è lì per afferrarla, lei fa comunque rumore?". La risposta a questa domanda è nelle dieci puntate che compongono la teen drama "Tiny Pretty Things", la serie tv targata Netflix, creata da Michael MacLennan, che esplora il mondo del balletto classico. Fin dal suo esordio, lo scorso 14 dicembre, di "rumore" ne ha fatto tanto, conquistando per più giorni di fila il primo posto nella classifica delle fiction più viste in Italia sulla piattaforma streaming.

La trama

"Tiny Pretty Things" è la sintesi perfetta delle famose tre "S": sesso, sangue, soldi. La storia, tratta dall’omonimo romanzo di Charaipotra Sona e Dhonielle Clayton, narra le vicende dei giovani alunni della Archer School of Ballet di Chicago, una prestigiosa accademia di danza.

La routine dei ballerini, fatta di allenamenti estenuanti per modellare il corpo, competizione sfrenata, balletti romantici, relazioni clandestine e non, finte amicizie e colpi bassi, si spezza quando l’allieva prodigio Cassie Shore viene spinta dal tetto da una misteriosa figura incappucciata. Il suo posto in accademia viene preso da Neveah Stroyer, una povera ma talentuosa ragazza, scelta dalla calcolatrice direttrice della Archer School, Monique DuBois, per distogliere l’attenzione della stampa dall’incidente di Cassie. L’arrivo di Neveah, cresciuta in un ambiente diverso ma puro, e la preparazione di un balletto alternativo ispirato alla storia di Jack lo Squartatore, a firma del coreografo Ramon Costa, capovolgeranno gli equilibri, portando alla luce verità scomode.

Ogni personaggio dovrà lottare contro il proprio demone: Bette, l’eterna seconda, sorella della prima ballerina della compagnia di Chicago, Delia Whitlaw, dovrà prendere delle decisioni importanti riguardo la carriera, la salute, l’amore e la famiglia; Oren, il suo fidanzato, dovrà fare i conti con il suo corpo e la sua sessualità; June sarà costretta a uscire gli artigli per emergere e mantenere il suo posto nella scuola; il ballerino omosessuale Shane farà ordine nella sua vita fatta di clichè, imparando nuovamente a stupirsi; Caleb riuscirà a trasformare il dolore per la morte prematura del padre in passi di danza; il francese Nabil, l’ex fidanzato di Cassie, dovrà affrontare i pregiudizi sulle sue origini e la sua religione (l’islam), e le voci sulla sua presunta colpevolezza. Chi ha spinto, infatti, Cassie Shore dal tetto?

Ci sarà una seconda stagione?

Proprio quando la storia sembra giunta al termine, nell’ultima puntata di "Tiny Pretty Things" escono fuori delle nuove verità sbalorditive che riaprono i giochi. D’altronde, il libro omonimo da cui trae spunto la serie tv ha un sequel, "Shiny Broken Pieces", fresco di stampa (è uscito in Italia a gennaio 2021, edito da Mondadori).

Sembrerebbero esserci tutti i presupposti. Ma dopo due mesi dall’uscita della serie tv tutto tace: Netflix ancora non sa se proseguire il progetto. Al contrario ha già annunciato il rinnovo di "Bridgerton", uscita soli 11 giorni dopo, lo scorso 25 dicembre. Cosa non convince di "Tiny Pretty Things"? Forse le visualizzazioni finali non sono state abbastanza? Impossibile saperlo, perché "gli unici dati che Netflix rilascia sono le classifiche giornaliere", come ci viene confermato dal suo ufficio stampa.

Tiny Pretty Things merita un’altra possibilità?

La serie sul balletto targata Netflix ha senza dubbio numerosi punti di forza. Innanzitutto, il cast, composto da ballerini professionisti. Poi come era accaduto precedentemente con "La regina degli scacchi", mette i riflettori su un mondo di nicchia, come quello della danza classica, in cui tutù, scarpette e corpi statuari nascondono sudore, dolore fisico e sacrifici. Ma purtroppo il risultato finale appare totalmente diverso. La serie tv, in pieno stile Netflix, si prefigge il compito di affrontare tanti temi, forse troppi, primo fra tutti quello della violenza sessuale e delle molestie, mascherate da "mecenatismo". C’è addirittura qualche piccola allusione alla storia della danza classica. Ma qualsiasi argomento è appena accennato e lo spettatore non è profondamente appagato dalla visione di questa serie.

In nessun passaggio, si tenta di spiegare a cosa sia dovuto questo spasmodico richiamo alla Francia. È la patria del balletto classico. Nel 1661 l’Académie royale de danse di Parigi ha codificato per prima i passi e i movimenti, da quel momento il francese è diventata la lingua ufficiale. In Francia nel XIX secolo, con La Sylphide, è nato il balletto classico, così come noi lo conosciamo. L’innamoramento era il fulcro di ogni libretto, il pas de deux la rappresentazione massima dell’amore carnale.

La Regina indiscussa delle scene era la prima ballerina: ieri come oggi ricoprire questo ruolo era la massima aspirazione per una bambina che studiava danza. Ma le piccole allieve erano molto diverse dalle alunne della Archer School: "les petit rats", spesso citate anche in "Tiny Pretty Things", erano le bambine affamate e povere, che avevano la fortuna di imparare l’arte della danza. Quelle più talentuose, alla fine degli studi, entravano a far parte del corpo di ballo, ma sola una riusciva a diventare la "stella" e guadagnare abbastanza da potersi mantenere da sola. Le altre, per sostenere le spese delle lezioni, dei costumi e degli alloggi vicini ai teatri, erano costrette a scendere a compromessi e attirare l’attenzione di ricchi signori appassionati di balletto (i così detti ballettomani), i cui interessi erano rivolti più che al ballo in sé, ai corpi seminudi delle danzatrici, su cui fantasticavano senza sentirsi troppo in colpa.

In "Tiny Pretty Things", questo fenomeno che corrisponde a una delle pagine più tristi delle storia della danza classica, è stato "attualizzato": alcune alunne, spinte dalla stessa Monique DuBois, dopo le lezioni lavorano come "cameriere" in un club esclusivo per soli uomini per poter pagare le rette dell’accademia. Ma le ballerine della Archer, figlie del Me Too, hanno una consapevolezza maggiore, che porterà a far fallire questo squallido sistema. La direttrice della scuola si giustifica a più riprese, sostenendo che "è sempre stato così". Però quella che prima era la regola, ormai fortunatamente è un’eccezione. Le affermazioni di Monique DuBois, quindi, appaiono non contestualizzate e probabilmente anche un po’ offensive nei confronti di chi ama sinceramente questa arte e se ne occupa onestamente. Al contrario, argomenti ancora profondamenti attuali, come il rischio di ammalarsi di anoressia e bulimia per inseguire la perfezione del corpo o i cliché sulle tendenze sessuali dei ballerini, sono stati appena sfiorati.

Alla curiosità per una realtà ai più sconosciuta, si aggiunge il mistero intorno all’incidente di Cassie Shore e il racconto delle vicende sentimentali degli altri protagonisti. Ma nemmeno questi aspetti vengono adeguatamente sviluppati a causa dei grossi buchi nella sceneggiatura. I telespettatori sulle pagine social criticano aspramente certi sviluppi della trama, come ad esempio quello rappresentato dall’inizio della relazione tra la protagonista, Neveah, e Oren, l’ormai ex fidanzato di Bette. "Ma qualcuno di voi ha capito quando hanno iniziato a frequentarsi? Perché non mi è molto chiaro questo passaggio", scrive un utente sulla pagina Instagram di Netflix Italia.

Qualcosa manca in "Tiny Pretty Things", un calderone di temi, potenzialmente interessanti, ma che non trovano il giusto spazio in sole dieci puntate.

Resta dunque il dubbio su un eventuale rinnovo, che rischia di fare molto meno rumore della stagione precedente. Ma si sa, Netflix può sempre sorprendere: come anche la danza insegna, non è mai come sembra, e quello che è solo un cigno può diventare una splendida principessa.

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