Seduto sul divano, rigido come usano i militari, gli occhi fissi allo schermo, gli piaceva di più lo scimmione che scala l'Empire State Building, o la bella attrice Fay Wray, seminuda e tremante tra le braccia pelose del quadrumane? In ogni caso, Adolf Hitler ha visto King Kong venti volte. E con lui, dovevano sorbirselo gli ospiti del fine settimana al «Nido delle Aquile» sull'Obersalzberg.
Una mania, una fascinazione che dal 1933 al 1937 non abbandonò lo sterminatore degli ebrei, pronto a scovare un nuovo dettaglio, un effetto speciale in bianco e nero di quel successo americano di Merian C. Cooper e Ernest B. Schoedsack: la crema di Hollywood Babilonia, all'occasione emendata dalla «cultura dell'asfalto» invisa ai nazisti. Soltanto a parole, però, perché nei fatti il Führer era un figlio degli anni Venti, quindi donnine, cosce e cabaret li apprezzava dai tempi della gavetta di Berlino, quando da solo o insieme a Joseph Goebbels assaggiava la scena dell'intrattenimento cosmopolita, senza remora alcuna. Non meraviglia che amasse i prodotti Disney, i film di Topolino in prima fila, vietati al pubblico tedesco per quel tanto di Judentum in essi contenuto.
Lui, invece, se li vedeva tranquillamente in Cancelleria, alla sera: un modo come un altro per staccare dalla routine di regime grazie ai cartoni di Mickey Mouse.«Non crederà mica ch'io faccia una bella vita. Ieri sera mi son dovuto vedere tre, dico tre!, film e stamattina presto, un altro ancora. E tutto a stomaco vuoto. Quanto a questo, il Führer ha una resistenza incredibile», si lamenta Julius Schaub, primo aiutante di Hitler, parlando col regista Veit Harlan, firmatario del propagandistico Suess l'ebreo. Di quella cinefilia tutta moderna la storiografia contemporanea sa ormai molto: a settant'anni dalla fine del nazismo, i tabù sono caduti e un vento pop soffia sull'intrattenimento del Terzo Reich, ma soprattutto sui suoi esegeti, teoricamente spregiatori dei «giudei hollywoodiani», ma in pratica fruitori compulsivi di quel cinema. Così lo storico e giornalista Volker Koop scrive dei film preferiti di Hitler nel suo libro Warum Hitler King Kong liebte, aber den Deutschen Micky Maus verbot (Bebra Verlag, pagg. 256, euro 19,95), ossia: «Perché Hitler amava King Kong, ma vietò Topolino ai tedeschi».
Soffermandosi sulla bulimia cinematografica del dittatore, lesto a infischiarsene della Zensur le cui tenaglie lui stesso apparecchiava, pur di assecondare la sua cinemania. Emerge, in particolare, una smania del vedere e rivedere la stessa pellicola, esasperante pure per il fotografo personale di Hitler, Heinrich Hoffmann, il quale narra d'aver visto Sigfrido di Fritz Lang e Le finanze del Granduca almeno una ventina di volte, insieme all'entourage del Führer, che poi voleva parlarne.Le ricerche di Koop si focalizzano tra il 1933, anno dell'insediamento di Hitler e il 6 settembre 1936, poco prima dell'ottavo congresso del Partito nazionalsocialista.
«Il Nuovo Cinema Paradiso» hitleriano si nutre soprattutto di proiezioni made in Usa, anche grazie al fiuto infallibile di Goebbels, ansioso di sfidare gli studios californiani dalla roccaforte berlinese di Babelsberg. «Avevamo a disposizione ogni genere di film, visionati dal ministero della Propaganda. Naturalmente, ne avevamo anche di stranieri, ma quanti buoni film ci sono, in un anno?», si chiede Fritz Wiedemann, dal 1935 tra gli aiutanti di Hitler.Il dittatore vedeva anche i film di serie B. «Hitler preferiva film d'intrattenimento senza pretese, storie d'amore e commedie. Di sicuro, gli piacevano i film-rivista, con molte gambe nude. E, dopo le proiezioni, se ne discuteva: Hitler giudicava le interpreti femminili, quelli maschili li giudicava Eva Braun», riporta l'architetto Albert Speer.
Nel Terzo Reich la produzione puramente propagandistica non raggiungeva il 16 per cento, mentre i film d'intrattenimento con Emil Jannings, Henny Porten, Lil Dagover, Olga Tschechowa e il surrogato di Marlene Dietrich, Zarah Leander, contemplavano ogni genere: dalla commedia ai western.Ma il cuore di Hitler è in mano a Topolino. Nel Natale del 1937, Joseph Goebbels annota: «Ho regalato al Führer 30 film degli ultimi quattro anni e 18 film di Topolino. È stato felicissimo del dono». Dal 1935, però, il popolo tedesco non gode delle produzioni Disney.
Di tale cinismo resta traccia nella flessibilità con cui si «perdonano» le star di origine ebraica, che continuano a lavorare dopo le Leggi di Norimberga perché funzionali. Fritz Lang, figlio di madre ebrea, avendo entusiasmato Hitler con Metropolis, è in predicato per la supervisione generale del cinema tedesco. Naturalmente, preferirà emigrare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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