Chiude oggi, nella prestigiosa Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, il Convegno internazionale di studi Diagonale Totò. Perché «diagonale»? Lo spiega il Rettore, Lucio D'Alessandro, parlando del «più grande comico italiano del Novecento»: «La comicità genuina, con l'inesauribile creatività che la contraddistingue, comporta anche la coscienza dell'inautenticità dei modi espressivi usurati dal commercio sociale, e l'esigenza di trovare percorsi alternativi: diagonali nuove per reinterpretare la realtà che ci circonda». Totò, appunto, è l'attore «capace di scardinare l'andamento rettilineo di una scena e di un dialogo introducendo una deviazione dirompente». «Totò è il principe del nonsense e dell'equivoco, capace di indurre con apparente innocenza e noncuranza i suoi interlocutori in discussioni illusorie, imprigionandoli con la forza delle parole devianti in duelli verbali ai quali diventava pressoché impossibile sottrarsi: come si fa a rispondere a uno che ti vuole convincere che tua sorella di nascosto si mette la trombetta in bocca, solo perché fa di cognome Trombetta e suo marito si chiama Bocca?». La grandezza di Totò, ha spiegato Emma Giammatei, l'italianista della Suor Orsola anima del Convegno, sta nel fatto che «L'ardita sperimentazione linguistica, vicina ai risultati esilaranti e sulfurei di un Campanile, coesiste con il carattere popolare e non prestigioso della sua arte, grazie alla comunicazione di massa a lui consona, il cinema. In tal senso, Totò ha proceduto in direzione opposta a Eduardo o a Viviani, i quali tenevano molto al testo scritto, credevano nella Letteratura».
A ricordare il Principe della risata sono stati invitati, tra gli altri, studiosi multidisciplinari come Roberto Escobar, Paolo Isotta, Orio Caldiron, Alberto Anile, Augusto Sainati, Ennio Bispuri. Coordinatori sono stati Emma Giammattei, Valerio Caprara, Marino Niola.
Totò, come si sa, ha girato un centinaio di film di diversa fattura: da quelli più improvvisati e sgangherati a quelli - sono molti - destinati a rimanere nella storia del cinema. Sono molti i personaggi da lui portati sullo schermo e non sempre di ceto proletario o piccolo-piccolo-borghese, come pretende un cliché molto diffuso. In film come 47 morto che parla, Il Comandante, I due colonnelli, Totò cerca pace, Totò contro i quattro, per limitarci a questi, interpreta ruoli di alti funzionari o di borghesi benestanti: la maschera e la vis comica sono le stesse ma gli ambienti sociali cambiano radicalmente.
Vorrei ricordare, invece, il Totò espressione della «gente meccanica e di piccolo affare» giacché ritengo che ad esso siano legati la sua autentica grandezza di uomo e di attore e il posto eminente che si è assicurato nella storia della cultura e dei costumi dell'Italia del primo Novecento. Quel posto oggi pare scontato ma non è sempre stato così. E qui cade la vexata quaestio del riconoscimento o meno dell'arte di Totò da parte della critica ufficiale. E' vero, sì, come sostengono oggi gli intellettuali di sinistra, che il comico napoletano è sempre stato apprezzato dagli esperti ma oggetto di stima sono stati la sua maschera plautina, la sua straordinaria mimica, il suo essere l'ultima grande espressione della commedia dell'arte, ma non si è mai digerito il suo qualunquismo, il suo «anarchismo di destra», le sue simpatie monarchiche (e persino per Achille Lauro!), la sua prossimità all'amico di una vita, Guglielmo Giannini, il fondatore dell'Uomo Qualunque. Anche Goffredo Fofi, al quale si deve, la riscoperta a sinistra di Totò, pur riconoscendo il suo «qualunquismo indiscutibile», ci ha tenuto a precisare: che esso è «meno inquinato di quello storico; è più legato a una visione ancora sottoproletaria, ancora napoletana, fatta più matura dall'intuizione, se non dalla coscienza, delle leve reali del potere e delle loro responsabilità generali». Meno inquinato, cioè meno sporco?
Scrisse più di mezzo secolo fa un grande filosofo politico, Augusto Del Noce, che il qualunquismo - di cui Totò, a mio avviso, fu la sublimazione poetica - «non è altro che forma matura e vera dell'antifascismo, come contrario del fascismo, contro un antifascismo immediato e irriflesso, il cui sbocco logico sarebbe la delizia di una dittatura antifascista», intesa come progetto (azionista e socialcomunista), di riforma morale e intellettuale degli Italiani, di «rigenerazione nazionale». Un progetto che era la negazione stessa della democrazia liberale giacché essa, per citare uno storico oggi dimenticato, Alberto Aquarone, affida l'evoluzione dei costumi al «tessuto vivo e vario del corpo sociale» non allo Stato o ai partiti. L'uomo qualunque che, in film come Destinazione Piovarolo di Domenico Paolella, Siamo uomini o caporali di Camillo Mastrocinque, Guardie e ladri di Steno e Monicelli, Totò e Carolina di Mario Monicelli e altri ancora, «oppone la sua sofferenza, il dolore che i professionisti della politica hanno sparso per il mondo e reagisce come l'uomo che non vuol lasciarsi compere i..
» è lo stesso che ci lascia, nel mediocre Totò contro Maciste di Fernando Cerchio, una delle rare e più esilaranti caricature del duce, l'arringa alle truppe di Totòkamen: «Uomini di Tebe. Richiamati (...) L'ora della riscossa è giunta! Vuoi tu combattere contro l'assiro secolare nemico delle nostre genti? (...) Spezzeremo le reni a Maciste e ai suoi compagni, a Rocco e ai suoi fratelli!» È casuale?
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