«La storia siamo noi» sembra ribadire il regista Carlo Carlei con la sua miniserie in due puntate Il confine che andrà in onda in prima serata su Raiuno martedì e mercoledì prossimi, il 15 e 16 di maggio. La storia della Prima Guerra Mondiale è vista attraverso la lente d'ingrandimento di tre giovani amici che, in una Trieste lacerata dalle spinte irredentiste e conservatrici che hanno determinato lo scoppio del conflitto, diventano le pedine di una storia molto più grande di loro che li travolgerà e cambierà irrimediabilmente. Per Eleonora «Tinni» Andreatta, a capo di Rai Fiction, si tratta di «una sorta di Jules e Jim ai tempi della guerra ma è anche una storia di confine in più sensi, temporale perché a cavallo tra la belle époque e i periodi del totalitarismo, emotiva perché i ragazzi sono sulla soglia della giovinezza con la guerra che li separa e gli fa fare scelte dolorose e infine territoriale perché Trieste è il luogo in cui prima del conflitto coabitavano austriaci e italiani».
Ecco dunque che la sceneggiatura scritta da Laura Ippoliti e Andrea Purgatori (che ha ricordato come ancora oggi si trovino resti dei corpi dei soldati morti in battaglia) segue da vicino, nella prima puntata, le vicende dei tre amici alle soglie dell'esame di maturità nell'estate del 1914: Emma (interpretata da Caterina Shulha), figlia di un ricco commerciante ebreo, Bruno (Filippo Scicchitano), figlio di un caposquadra al porto, e Franz (Alan Cappelli Goetz), figlio di un ufficiale dell'Esercito Imperiale. I tre sono inseparabili e tra Emma e Franz l'amicizia si trasforma presto in amore. Bruno sta a guardare. Ma, prima ancora dei venti di guerra che scompiglieranno e frantumeranno questo innocente ménage à trois, saranno le famiglie di Emma e Franz a ostacolare la loro unione perché il padre di Emma (Stefano Dionisi, che bel ritorno!) vede gli austriaci come il fumo negli occhi e il padre di Franz (Johannes Brandrup), rigido e impeccabile nella sua uniforme, non accetterebbe mai una nuora ebrea. Già da queste prime battute si capisce come il racconto del triangolo amoroso sia una sorta di fecondazione in vitro di tutti i problemi che l'Italia, l'Austria e poi mezzo mondo si troveranno ad affrontare in quella terribile Grande Guerra: «Celebrare oggi, cento anni dopo, la fine di una guerra - spiega il regista - è un dovere morale, perché prima finiscono e meglio è. Da parte mia c'è stato un grande lavoro di ricerca per mettere in scena realismo e autenticità. Il mio stile non è però quello della docufiction ma del grande racconto popolare. Lo stile è epico, non minimalista, per raccontare un conflitto così ampio e per coinvolgere emotivamente gli spettatori. Poi a volte il racconto si fa più intimo per raccontare sentimenti autentici che per colpa della guerra si complicano. All'epoca l'intreccio delle loro vite, quel triangolo, avrebbe fatto scalpore».
Anche con l'aiuto dell'onnipresente musica di Giovanni Rotondo, Carlo Carlei non rinuncia a prendersi qualche rischio puntellando la sua storia di audaci montaggi paralleli o di ralenti in opposizione a nervosi carrelli che seguono le vicende storiche spesso frenetiche, accelerate all'improvviso ma sempre alternate a momenti familiari, più intimi e rallentati, in cui i rapporti umani e amorosi trovano la giusta collocazione.
Salvo poi arrivare la guerra che manda tutto a ramengo e, in questo caso, il ralenti serve più che altro a sottolineare la morte e la sua insensatezza come ben cantava De Andrè in La guerra di Piero: «I giovani erano il novanta per cento delle vittime - ricorda il regista - e il legame con la contemporaneità è forte perché sono sempre le persone di una certa età a prendere le decisioni ma poi sono i ragazzi che le subiscono dovendo anche metterle in pratica». Il riferimento ai colloqui, come tra sordi, che si vedono nel film tra Salandra (Roberto Chevalier) e il Generale Cadorna (Massimo Popolizio), non è puramente casuale.
Girato in una Trieste splendidamente spogliata di qualsiasi ammennicolo moderno e in vari luoghi del Carso, Il confine è prodotto da Mario Mauri per la Rai e ambirebbe a essere visto anche da un pubblico più giovane.
Così se la biondissima protagonista Caterina Shulha, perfetta con il suo velo di tristezza sempre disegnato in volto, dice che anche per questo sente «una grande responsabilità sulle spalle», il giovane Filippo Scicchitano (scoperto dal regista Francesco Bruni nel 2011 in Scialla!) spera che «questo racconto arrivi ai giovani di oggi che, lo posso dire per esperienza diretta, hanno perso un po' i valori mentre ricordare questo momento storico è fondamentale, come ha detto lo stesso Mattarella».
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