"Tutta la mia carriera è improvvisazione, come un brano jazz"

Lo showman, 81 anni, confessa: "Soprattutto mi sento musicista. E in video cerco la qualità"

"Tutta la mia carriera è improvvisazione, come un brano jazz"

«Vuol leggere cosa c'è scritto sul mio biglietto da visita?». E sul cartoncino lucido che pronto tira fuori dal taschino leggi, a grandi lettere dai colori vivaci: «Renzo Arbore - clarinettista jazz». Ma come? E la tv, e la radio, e il cinema? «Tutto bene - replica lui -, ma io mi sento soprattutto musicista. Alla mia bella età (81 appena compiuti, ndr) ho scoperto che ciò che ho fatto in tutti questi anni è stato come un unico, interminabile brano jazz per clarinetto. Scegli un tema, lo sviluppi, lo reinventi. In una parola: improvvisi». Sarà dunque ancora la celebrata improvvisazione arboriana al centro delle due serate-evento con cui, a dicembre su Rai 2, il grande Renzo tornerà, dopo lunghe assenze, molti ripensamenti e la felice esperienza, lo scorso inverno, del trentennale di Indietro tutta, a fare l'unica televisione che sa fare. La sua.

Dica la verità: in questi ultimi anni la musica è stata per lei un rifugio che le consentiva di dire «no» alla tv.

«La verità? Quando sei stato afflitto non da uno, ma da due successi epocali, entrambi fenomeni di costume al livello di 50 per cento di share, perché tanto fecero Quelli della notte e Indietro tutta, cominciano i problemi seri. Ti chiedi: e ora? Cosa posso fare di più di così? Troppe responsabilità. E poi, nel frattempo, l'intrattenimento tv stava cambiando: a me cose come i talent, i reality... tutta quella roba, insomma, non interessava un granché. Mai provato inclinazione per quel genere di tv facile, che sfrutta il gossip, il pettegolezzo, la rissa o il dolore. E lo fa senza gusto, senza nemmeno un po' di senso dell'umorismo. Allora ho ripreso a occuparmi a tempo pieno di ciò che mi occupa da sempre. La musica».

Mentre ora potrà tornare a fare anche la tv che ama.

«Che amo e cui aspiro. Perché quella che facevamo noi (e quando dico noi parlo di gente che si chiamava Falqui, Trapani, Corrado, Bongiorno, Tortora, eccetera) era la tv più bella del mondo. Solo che non lo sapevamo. Non ci rendevamo conto che cose come Teatro 10, o Milleluci o Canzonissima fossero dei capolavori: questa è la verità. E molto del pubblico d'oggi non sa nemmeno che quella tv è esistita».

Come saranno, allora, le sue due serate-evento?

«Vorrei realizzare un format nuovo, dopo averne varato in vita mia più di quindici. Così col mio storico co-autore Ugo Porcelli, e conducendo assieme a Nino Frassica e Andrea Delogu, tratteremo della canzone umoristica, ma attraverso una formula diversa dalle solite, possibilmente anomala, anche se poggerà sui tre elementi per me consueti e più congeniali: musica, amici, improvvisazione. Il tutto con un solo ma preciso scopo: muovere al sorriso. Un altro obbiettivo sarà la qualità. Io cerco sempre di fare una tv a lunga durata, che cioè si possa replicare molte volte, perché la qualità dei contenuti non scade mai».

Secondo lei richiamarsi alla qualità televisiva del passato oggi paga?

«Oggi più che mai. Questo è il momento in cui il pubblico riscopre con passione le cose del passato. Pensi a un fenomeno come Techetechetè. Non è solo questione di nostalgia: è che vedendo quali erano i protagonisti, quali le idee della tv di una volta, la gente pensa accidenti, quelli sì, che erano tempi!».

A proposito di amici: molti di quelli con i quali lei inventò quel tipo di televisione, non ci sono più...

«E questo è un problema, in effetti. Ultimamente ho scoperto molti giovani validi; ma se penso che una volta improvvisavo e ridevo assieme a personaggi come Benigni, Troisi, Pazzaglia, Verdone... Faremo del nostro meglio, certo. Anche se quella stirpe si è un po' esaurita, bisogna riconoscerlo. Ora non voglio fare il vecchio che loda i bei tempi andati. Però...».

Però almeno un emulo odierno lei ce l'ha. Improvvisazione e risate: non trova che Fiorello le debba molto?

«Mi onoro di dire che considero Fiorello un mio allievo. Ma indiretto. Anche lui, come me, riesce al massimo solo se fa ciò che lo diverte. Solamente così riesce a divertire gli altri. Ne parliamo ogni tanto, noi due: questa di poter fare solo quel che ci piace è la nostra schiavitù. Ma anche la nostra salvezza».

E dopo i due speciali di dicembre, quali altri programmi ha per il suo futuro?

«Diventare grande. Nel senso di diventare un grande artista».

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