Quando pensiamo ai critici dell'Euro, cioè della moneta unica che dal primo gennaio 2002 ha corso in diciannove Stati del nostro continente (la cosiddetta eurozona), la nostra mente corre ai cosiddetti sovranisti, le cui analisi sono per lo più considerate rozze e superficiali. Eppure c'è, soprattutto nei Paesi anglosassoni, un' ampia bibliografia scientifica che quei motivi di criticità, così come tutte le contraddizioni della costruzione europea, li mette in evidenza e argomenta con molto precisione.
Di questa letteratura il testo più importante, o che comunque ha avuto più risalto e influenza, è senza dubbio quello di Ashoka Mody, un ex alto funzionario del Fondo Monetario Internazionale di origine indiana, oggi visiting professor a Princeton. A due anni dalla sua pubblicazione per i tipi dell'università di Oxford, giunge ora in Italia tradotto da Renato Spaventa per Castelvecchi: Euro. Una tragedia in nove atti (prefazione di Vladimiro Giacché, pagine 768, euro 50). Il volume ha diversi livelli di lettura: dallo storico all'economico, fino a quello politico.
Prima di tutto, esso narra in modo avvincente e in presa diretta le principali vicende che costellarono le nove tappe richiamate nel titolo: da quando la moneta fu proposta per la prima volta dal presidente francese Georges Pompidou in un vertice convocato a L'Aja nel dicembre del 1969 fino alla crisi greca del 2009 e oltre (il libro si avvale anche di una prefazione sulle conseguenze del Covid per l'Euro scritta appositamente dall'autore per l'edizione italiana). Mody non narra solo la storia dei vertici, fra decisioni dei leader, azione dell'élite burocratica e convergenza fortuita di avvenimenti favorevoli che avrebbero poi portato effettivamente alla realizzazione di un esperimento unico nella storia monetaria. Egli riporta pure le autorevoli voci critiche e le obiezioni presenti nel dibattito sin dall'inizio, corroborandole con grafici e simulazioni.
Da subito ci si chiese, infatti, come potesse sopravvivere in caso di crisi una valuta comune a più Stati che, pur rinunciando a importanti strumenti di politica economica, non mettevano in comune né il bilancio né la fiscalità. Un progetto che, nel suoi idealismo, abbandonava ogni possibilità di intervento politico nazionale: non avendo più una banca centrale, gli Stati non avrebbero avuto infatti possibilità né di svalutare né di agire sui tassi di interesse, cioè né di favorire le esportazioni e l'occupazione né di incoraggiare la spesa pubblica e stimolare la crescita. Cioè tutto ciò che poi puntualmente si è verificato a partire soprattutto dalla Grande Recessione del 2007-2008, a cui l'Europa non ha saputo dare quella forte risposta data, invece, in America dalla Fed.
Mody mostra pure l'assoluta non democraticità con cui decisioni così importanti sono state prese dai capi di governo e dall'élite tecnocratica e finanziaria che opera nelle istituzioni comunitarie, sottolineando il disagio più volte manifestato dai popoli europei (anche in importanti referendum puntualmente ignorati nell'esito). L'autore di questo ponderoso tomo, ricco di appendici (bio-bibliografiche e cronologiche), a cui non manca il dono di una sottile ironia, osserva che i leader europei si arrogarono paternalisticamente un consenso permissivo perché le questioni erano troppo complesse per essere capite dal popolo. E pazienza se poi avrebbero impattato sempre più sulla sua vita. Un sordido complotto? Egli non lo pensa afatto: è convinto, anzi, che quei leader erano veramente convinti di agire per il bene comune assecondando la Storia. Si creò una sorta di «pensiero di gruppo», così lo chiama, refrattario ad ogni critica e quindi ideologico. I leader che più si adoperarono furono paradossalmente proprio quelli del Paese, la Francia, il cui popolo più aveva manifestato scetticismo e anche ostilità nei confronti del progetto. Il vero artefice però della moneta unica fu Helmut Kohl, che, grazie al suo carisma e all'autorevolezza conquistata per aver portato a termine il processo di unificazione nazionale tedesco, per tutti gli anni Novanta si impegnò strenuamente per creare le condizioni politico-economiche e la struttura portante dell'Euro. Superando le diffidenze verso i Paesi del Sud dei suoi elettori, che tacitò con il mantra della stabilità finanziaria e dell'austerità Fu sempre lui ad impegnarsi affinché l'Italia, che aveva serie problematiche economico-strutturali, venisse accettata da subito nel Club. Kohl era anche un grande costruttore di «narrative europeistiche», dalla «spinta in avanti» all' unione monetaria come precondizione di quella politica.
Molto spazio è dedicato nel libro al nostro Paese, che insieme ai suoi leader non ne esce molto bene. In Italia, dice Mody, già prima che, «nel periodo fra il 2014 e il 2017 la Bce non ne aggravasse la situazione economica» si concentravano «tutte le possibili patologie dell'Eurozona: bassa produttività, alto debito pubblico, banche mal gestite, governi di breve durata, ridotta mobilità sociale ed euroscetticismo». Poiché l'Italia è un Paese molto grande, è qui che, secondo lui, passa la «linea di faglia» dell'Europa: lì luogo ove essa si gioca il suo futuro.
Il libro mostra molto bene il limite della costruzione europea in un
costruttivismo ingegneristico che, per sua natura, è destinato a creare tragedie. Quella dell'Euro è da manuale, come non a caso aveva previsto anche Milton Friedman, il cui nome, proprio per questo, ritorna spesso in queste pagine.
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