Indossa i guanti, esplora il retto di un amico malato e gli salva la vita, dopo un'illuminazione da medico vecchia scuola: macché colite, o diverticoli. «Sono arrivato col dito fino in fondo e lì ho sentito qualcosa che non mi piaceva. Metastasi: operato dopo 72 ore». Parola di Carlo Verdone, che non gioca al dottore, ma ha salvato la vita a più persone. Contrastando anche, via sms, le diagnosi di barbe di professori: «Per cortesia, somministrare cortisone. Non è varicella, ma sindrome di Stevens-Johnson». E un'altra amica ancora campa. Non a caso lo consultano pure a tarda sera («mi telefonano e sto sempre col petto di pollo in bocca»), lui che aveva il pallino della medicina fin da ragazzo e s'è formato sull'Enciclopedia Medica Curcio, fermandosi alla lettera T di «tracoma». «Avevo una congiuntivite e mi sono spaventato. Però i miei genitori invitavano a casa grandi medici come Valdoni, Stefanini, D'Agostino: quando parlavano loro, io restavo affascinato», dice Carlo, il cui terrore per le malattie è ormai leggendario. Così com'è certificata la sua capacità di guaritore esperto.
Adesso, finalmente, egli vestirà il camice del chirurgo nell'erigendo film Si vive una volta sola, giunto alla terza settimana di riprese, dov'è Umberto Gastaldi, primario di ferro durante le ore lavorative, addirittura col Papa tra i suoi pazienti (fa una risonanza magnetica), ma cinico zuzzurellone pronto alle beffe più atroci appena depone i ferri. Sua la regia, numero 27, come soggetto e sceneggiatura, scritti con Giovanni Veronesi e Pasquale Plastino. Prodotta e distribuita da Luigi e Aurelio De Laurentiis, con un budget di 6 milioni, questa commedia è sospesa tra il monicelliano Amici miei, dato il quartetto di medici-sodali lesti alle burle e Compagni di scuola dello stesso Verdone. Ha per protagonisti Rocco Papaleo, ovvero l'anestesista Lasalandra, soggetto continuamente preso di mira; Max Tortora, nei panni del chirurgo in seconda e Anna Foglietta, la ferrista che ha una storia con il bel Sergio Muniz. L'uscita del film, fissata per il 13 febbraio, nei dintorni di San Valentino, è anche un omaggio all'amore per la vita. A partire dal titolo. «È un film molto delicato e di stampo teatrale, ancorché dinamico, con dialoghi corposi alla Harold Pinter. Non so quanto sarà divertente, ma avevo bisogno d'un film corale. Stavolta è complicato: non mi appoggio al dialetto, in tale storia d'amicizia tra quattro persone, eccellenze nel loro lavoro, ma sole nel privato. Dove il talento si dissolve, diventando fragilità e sconfitta», spiega Verdone nella masseria di Otranto trasformata in set. E affollata dallo staff del governatore della Puglia Michele Emiliano, intervenuto al lancio del film - realizzato con il sostegno della Regione Puglia, Apulia Film Commission e Puglia Promozione con una pochette tricolore nel taschino, a sottolineare la vocazione all'accoglienza della sua terra. Terra che qui è anch'essa protagonista, con il suo mare da bere e la candida luce abbacinante tra Monopoli, Sant'Andrea, Serrano e Porto Badisco, dove si svolge il viaggio on the road dei medici maestri della beffa.
«Preferisco girare qui, anziché a Roma, dove burocrazia e difficoltà ambientali rendono il lavoro un'angustia. In Puglia trovo maestranze molto capaci, professionisti come a Cinecittà», riflette il comico, che non può fare un passo senza che gli porgano un bambino per un selfie. Del resto, gli scherzi infantili si sprecano nel film, paragonato a Il grande freddo da Aurelio De Laurentiis: neanche lui riesce a camminare liberamente, tanto lo fermano in continuazione per un clic, un autografo, una stretta di mano. E' o non è o presidente del Napoli? «Il film è più dinamico che teatrale. È un viaggio iniziatico in lungo e in largo: il gruppo non si è mai preso una vacanza in vent'anni. E, a un certo punto, deve fare un bilancio. Allontanando i problemi, tra cazzeggio e goliardia. Ma la vita presenta il conto e gli accadimenti rivelatori accelerano la capacità di Carlo di fare commedia», afferma il produttore, mentre Verdone parla di «fuochi d'artificio finali».
«I miei proiettili? L'esperienza, l'intuizione del momento e l'improvvisazione. Quando meno te l'aspetti, tiro fuori l'asso dalla manica.
Pur navigando a vista e cercando d'imparare il copione a memoria», conclude Carlo, che dopo aver interpretato parti da oculista, pediatra e dentista, per la prima volta terrà il bisturi in mano, in autentiche strutture ospedaliere. Sarebbe una nemesi perfetta, se a sdrammatizzare non intervenissero le serate tra bischeri, a imitare le marionette del Pincio.
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