Verdone si snatura nel divertente ma prevedibile “Si vive una volta sola”

Commedia corale in cui il femminile è volgarizzato e in cui il crescendo narrativo e il potenziale comico sono sabotati sul nascere da un colpo di scena finale intuibile dall’inizio

Verdone si snatura nel divertente ma prevedibile “Si vive una volta sola”

Con oltre un anno di ritardo arriva Si vive una volta sola, ventisettesimo titolo di Carlo Verdone. Da oggi disponibile in esclusiva su Amazon Prime Video, il film è una commedia corale in cui funzionano i singoli siparietti ma la cui impalcatura narrativa ha fondamenta d’argilla.

Il problema è che oltre al divertimento fine a se stesso e frammentato in una piccola piacevole collezione di gag, la sceneggiatura non va in altra direzione se non quella di un finale che più scontato non si può.

Il professore Umberto Gastaldi (Verdone) guida un team di medici formato dal suo assistente Corrado Pezzella (Max Tortora), dalla strumentista Lucia Santilli (Anna Foglietta) e dall’anestesista Amedeo Lasalandra (Rocco Papaleo). Amici, oltre che colleghi, i quattro hanno una routine consolidata che prevede l’ingenuo e permaloso Amedeo sia la vittima designata di scherzi d’inaudito cinismo. Almeno fino a quando i tre "aguzzini", visionando gli esami clinici del tartassato prima che possa farlo lui, scoprono che quest’ultimo ha poco da vivere. Invece di avvisarlo dell’imminente dipartita, decidono di intraprendere con lui una vacanza nel sud Italia, durante la quale esaudire i suoi (inconsapevolmente) ultimi desideri e trovare la situazione adatta alla scioccante rivelazione sul suo stato di salute.

“Si vive una volta sola” ha per protagonisti adulti irrisolti che sfogano le pesanti responsabilità incontrate sul lavoro dandosi, fuori da lì, a comportamenti d’immatura ilarità. Sono guasconi dal legame decennale e dagli innegabili successi professionali, ma tanto affidabili col camice (al punto da essere l’equipe che opera il Papa), quanto maldestri e fragili una volta tolto, smarriti in case belle e situazioni affettive scarne.

La complicità con cui vengono architettati tiri mancini di brutale efficacia occhieggia ad “Amici miei” di Monicelli, ma il tentativo di mescolare vis comica e amarezza, come nella classica commedia all'italiana di Risi o Germi, non va a segno. Il retrogusto agrodolce c’è, la verve anche e il ritmo non conosce stalli. Eppure, laddove sullo schermo non siano protagoniste le maschere e le imitazioni sofisticate e intelligenti del Verdone che conosciamo, “Si vive una volta sola” tracolla o in una cialtroneria volgarotta, con tanto di natiche desnude e reiteratamente in primo piano, o in una “cattiveria” più meschina e compiaciuta che graffiante. Si scivola su un’oggettivazione sguaiata e datata della donna, per non parlare di come avvilisca vedere il personaggio della Foglietta sorridente, a chiosa di un arco narrativo che ne ha fatta macelleria. Anche il concetto di amicizia, il cui omaggio parrebbe essere il cardine del film, è confuso: ora ciambella di salvataggio ora gioco da bulli.

Non è questo lo stile del regista romano, reo probabilmente, a questo giro, di essersi affidato in fase di sceneggiatura a un sodalizio che non solo non gli ha giovato ma lo ha snaturato: l’apporto di Giovanni Veronesi si sente fin troppo. Suonano più nelle corde di quest’ultimo, infatti, sia l’allestimento di un panorama femminile a tratti desolante, sia l’insistito esorcizzare il vuoto interiore a suon di sberleffi.

Questo non toglie che in “Si vive una volta sola” gli attori siano ottimi e affiatati, l’ambientazione pugliese abbagli con la sua bellezza mozzafiato e gli sporadici numeri comici da repertorio verdoniano valgano da soli la visione.

Dispiace soltanto constatare che il nostro sia ora ostaggio di dinamiche comiche a sfondo sessuale e di product placement senza pudore.

Può darsi che l’avanzare dell’età anagrafica porti a un inaridimento creativo, ma non è con innesti di un vitigno diverso che sorseggeremo il Verdone in purezza che sogniamo di riassaporare.

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