Diliberto Pierfrancesco 10+
Pif, il sibilo di un palloncino che si sgonfia. PIF, maiuscolo, è un ragazzo diventato uomo o un uomo che ricorda di essere ancora bambino e così vede mille cose e le sa capire, filmare, raccontare. La mafia uccide solo d'estate ma il festival provvede a suicidarsi d'inverno. Per fortuna Pif è il Dr. House, festival division, che interviene sul caso disperato. C'è una frase del suo film che così dice: «Crescendo incominciai a capire che a Palermo nulla è come sembra». Bene, sostituite Palermo con Sanremo e avrete il totale. Diliberto è un architetto mancato, non per colpa dei cattivi studi ma per via della tassa sul riscaldamento che lui, già Iena e Testimone al tempo, si rifiutò di versare a un'università in cui le aule erano gelate ma le casse caldissime. Al festival è stato il solo vincitore, non soltanto morale.
La sua normalità ha spiazzato chi ritiene di stupire con gli effetti speciali di testi intellettualoidi e con la paraculaggine del politicamente corretto, della bellezza a tutti i costi, del vogliamoci bene dopo avervi voluto male. Pif è rimasto uguale a se stesso, il tritacarne (meglio, passaverdure) festivaliero non lo ha sfiorato. Aveva ragione il suo professore di inglese che un giorno di lui disse: «Diliberto, l'acqua lo bagna, il vento lo asciuga», riassunto, dove lui va quello rimane, fermo, solare come il suo sorriso, improvvisamente buio, come la sua Palermo. Quel leggero balbettio, nel tono di voce nasale e discreto, lo rende normale anche se un difetto ce l'ha: è astemio, nella terra del Nero d'Avola e dell'Inzolia è un disonore.
Aveva vent'anni quando doppiava in siculo Kevin Kostner in Balla coi lupi: «minchia che lupo» e tutti ridevano alla gag mentre saltava in aria la vita di Borsellino. Quell'attimo, quel boato gli sono rimasti dentro e se li porta appresso girando con la telecamera alla ricerca degli uomini, delle storie e delle mafie smarrite. A Sanremo questo ha fatto, senza dover ricorrere a sponsor e protezioni. Ha mostrato la vita e gli interpreti del quotidiano, il buffo e il buffone, ha concesso gloria ai sosia evitati dai cronisti chic. Non ha detto parolacce, non è stato cortigiano, ha usato il microfono che è la sua voce, l'obbiettivo che sono i suoi occhi. La telecamera è soltanto una protesi del suo pensiero di vita.
Un premio, l'unico, per i telespettatori in questi cinque giorni faticosi e lunghissimi per la noia e le recite stucchevoli.
L'Ariston è sembrato un teatro finto, di pupi e pupari, mentre fuori, Pif è stato attore, comparsa, figurante, regista, sceneggiatore di una commedia vera, immediata, sincera. Il festival è finito. Per fortuna Piefrancesco Diliberto continua. Pif: e il palloncino torna di nuovo a gonfiarsi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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