Una voce troppo grande per avere limiti. Addio a Pandolfi, leggenda del doppiaggio

Aveva 95 anni, era adorato da Visconti e fece teatro con Masiero e Osiris

Una voce troppo grande per avere limiti. Addio a Pandolfi, leggenda del doppiaggio

Da anni il suo mondo lo aveva messo in un angolo, come fosse un pezzo di antiquariato prezioso, ma parcheggiato nel retrobottega. C'era, ma era come se non ci fosse più. E nella vecchiaia, a giugno aveva compiuto 95 anni, tutto diventa lontano, anche la stanza accanto. Viveva nella casa romana che fu di Lucia Bosè «quando era fidanzata con Walter Chiari», ci teneva a dire, nel suo salottino pieno di ricordi e ninnoli troneggiava una libreria enorme che conteneva solo dischi e videotape, le foto degli amori che non c'erano più, le sorelle morte giovanissime, l'amica del cuore Bice Valori, Antonella Steni, compagna nel lavoro e nella vita, Toto e Tata in un fortunato Carosello degli anni Sessanta. Fosse stato americano Elio Pandolfi, scomparso ieri a Roma, sarebbe stato adorato e venerato come Mel Blanc, l'uomo dalle mille voci che ha inventato i cartoon della Looney Tunes, o Don LaFontaine, padre di tutti i trailer, a cui ne bastò una, sempre uguale, per diventare leggenda. Il limite di Pandolfi invece era la sua grandezza, il suo essere tutto, attore, cantante, ballerino, mimo, imitatore e quindi niente; il suo essere uno, nessuno e centomila anche nel doppiaggio, aveva tolto a lui, capace di fare tutte le voci, un'identità che lo rendesse unico: era stato Spencer Tracy e Michel Serrault, Philippe Noiret e Groucho Marx, Mickey Rooney e David Niven. Ed era la voce del Colonnello Buttiglione, del Dracula di Bela Lugosi persino Stanlio in un ridoppiaggio. Così multiforme da dare voce anche alle donne. Una volta sostituì Tina Lattanzi, che pure era la voce di Greta Garbo, senza che nessuno si accorgesse, fece anche la sua amica Rina Morelli in una scena de Gli zitelloni. Imitava persino la Magnani.

La sua scuola era stata la campagna «da piccolo passavo ore ad imitare una gallina con cui ho vissuto per tanto tempo» e la radio a onde medie che trasmetteva strane voci che arrivavano da angoli misteriosi del mondo: «Lì capii che la parola aveva un suono». Sentiva le voci e le riproduceva come un registratore, in qualunque lingua, cambiando tono, timbro e impostazione una, due, dieci volte.

Era terzo di quattro figli «e la famiglia, escluso mio padre, mi ha sempre incoraggiato». Papà Saturnino che era bidello e lo sognava ragioniere, viveva nel palazzo patrizio dove lui era nato e andava a scuola: «Non potevo nemmeno bigiare perché ero lì».

Diplomato all'Accademia d'arte drammatica di Roma, una vita dedicata alla radio, dal teatro comico alla rivista musicale, fino al varietà negli anni Settanta, Luchino Visconti, che lo adorava, lo scelse per interpretare il ruolo del cantante castrato in L'impresario delle Smirne, e gli cambiò la vita. Poi teatro, tanto, con Wanda Osiris, Carlo Dapporto, Lauretta Masiero, dall'operetta, al musical. E cinema, teatro, tv, radio: lavora con Bolognini, Patroni Griffi, Salce. Restando sempre se stesso: tutti e nessuno.

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