L'unica, flebile forma di abilitazione a parlare di un uomo come Marc Fumaroli, morto ieri, può essere solo la consapevolezza di non poterlo fare e chi, come il sottoscritto, si riconosce in qualche modo cresciuto dentro il perimetro della sua visione, chi ha guardato a lui per il faro che era nel buio dell'Europa dovrebbe forse, più di tutti, tacere, perché è pur vero che, come diceva Roland Barthes, noi non riusciamo mai a parlare di ciò che amiamo.
Eppure bisogna parlare di lui, né si può omettere dalle parole l'amore per chi ha saputo - arte antichissima e perduta - elevare la propria immensa erudizione a valore universale.
Storico della letteratura, dell'arte, dei sistemi culturali, membro del Collège de France e dell'Académie française, Marc Fumaroli incarna il senso stesso di queste istituzioni nelle quali è stato possibile, a dispetto di guerre e rivoluzioni, conservare e far vivere il senso originario di quel fatto culturale unico, complesso e irriducibile che chiamiamo Europa.
Perché l'Europa è questo: non politica, non economia, non finanza e nemmeno religione. Novalis sbagliava a identificarla con la cristianità. L'Europa è cultura, e la cultura è qualcosa di abissale, a dispetto della leggerezza gestionale con la quale intendiamo oggi questa parola.
Per tutta la sua vita, Marc Fumaroli ne ha indagato il mistero ricostruendone, pezzo per pezzo, il mosaico. La cultura è un corpo, non soltanto un'idea, e il suo corpo va conosciuto.
Nella sua opera forse più celebre, L'età dell'eloquenza, del 1980 (Adelphi 2002), il grande studioso traccia una storia della retorica e dell'idea di «letteratura» tra la riscoperta umanistica delle lingue classiche e dei loro autori e la formazione delle grandi scuole europee.
Questo tema, svolto con inaudita ampiezza nel suo capolavoro, si dettaglia in altre opere quali Il Salotto, l'Accademia, la Lingua (1994, Adelphi 2001) dove tratteggia il costituirsi dell'idea europea di «letteratura» attraverso i rapporti, non sempre lineari, fra tre istituzioni ben distinte: il salotto, l'accademia e la lingua oscillante dei poeti, dei filosofi, degli scrittori.
Pazientemente, Fumaroli lega parole come «pensare» o «sentire» non all'immediato delle nostre reazioni, ma a una precisa paidéia, a un cammino educativo affinato nei secoli: come si può insegnare a un ragazzino a camminar dritto, così gli si può insegnare a pensare bene, secondo giustizia, secondo la natura del pensiero.
Ai suoi lettori, a quelli che sa disposti a seguirlo lungo tutto il suo itinerario dice: «Chi parla bene, chi pensa bene, chi sente bene, lo scienziato che ha fatto profonde scoperte, l'uomo eloquente che ha indirizzato la sua patria sulla gloriosa via del governo libero, il meditativo solitario che ha dedicato la vita alla verità, tutto ciò che ha lustro, tutto ciò che produce luce e calore, tutto ciò che occupa e interessa l'opinione illuminata, tutto ciò vi appartiene: perché voi rifiutate allo stesso modo sia la ristretta concezione della vita che rinchiude ogni uomo nella sua specializzazione come una sorta di fatica penosa e oscura da cui non deve uscire, sia la pedanteria che confina il parlar bene, separandola dal mondo e dalla vita».
È il ritratto dell'uomo europeo così come un immenso ciclo storico, dalla latinità agli esordi del XIX secolo, lo ha voluto. Il suo nome: umanesimo. Ma che dire di tutto questo oggi, in un mondo accademico di specialisti in difesa dei loro confini disciplinari e di pedanti travestiti da intellettuali, editor, blogger, influencer?
L'ultima fatica di Fumaroli su questa stessa linea è stata La Repubblica delle Lettere (2015, Adelphi 2018), data alle stampe da un Fumaroli già malato ma lucidissimo, che andai a conoscere a Pordenone in occasione della consegna del Premio Cavallini. Ricordo i modi impeccabili, l'abito perfetto, le risposte gentili ma taglienti di questo anziano signore.
In questo libro, frutto di una vita, troviamo il racconto di un'Europa che volle dissipare un patrimonio enorme: la sua società letteraria, una società internazionale e cattolica nel senso culturale della parola - ne troviamo testimonianza negli imprevedibili rapporti che legarono, fino al XIX secolo, letterati di tutto il continente - non dissimile dalla comunità scientifica, che viceversa si è mantenuta fino ai giorni nostri. Un luogo in cui la Letteratura veniva alimentata da una comunità di spiriti eccelsi che si incontravano, si riunivano, creavano quella familiarità con il gusto, con il bello, con il pensiero che stemperava (senza cancellarle) le differenze in un gesto di stima.
In Parigi-New York e ritorno (2009, Adelphi 2011) Fumaroli si spinge con piglio più narrativo nel mondo dell'arte e delle immagini, di cui l'America sembrava aver acquisito il monopolio con la sua «cultura-mondo»: noi vediamo, guardiamo, produciamo distinzioni (io e ciò che ho di fronte, il dentro e il fuori) la cui radice è fuori dalla nostra storia. È il compiersi dell'epoca dell'immagine del mondo di cui scrisse Heidegger.
Dopo aver compiuto, con una documentazione stupefacente, il suo viaggio etnografico nella civiltà delle immagini, Fumaroli torna a Parigi, torna all'Europa, alla Parigi di Picasso, custode di un altro sguardo che non fissa la parola nella sua forza immaginativa (è il fascismo letterario di oggi) ma la abbandona al suo recesso invisibile: che è anima, pensiero, scienza.
Ma il suo libro più letto è certamente Lo Stato culturale (1993, Adelphi) dove, con grande vis polemica, questo gigante della nostra epoca documenta lo svilimento della stessa idea di cultura ad opera del potere pubblico, che trasformando in liturgia civile un'azione personale come quella di leggere un libro o guardare un quadro, rende sempre più arduo quello che è il senso vero della cultura, quella strada ardua e gloriosa che, imponendo all'uomo l'umiltà e il sacrificio, lo aiuta a cogliere il suo vero traguardo: non quello di essere ricco e famoso, ma di essere quello che è.
Dagli angoli delle cattedrali, dal fondo delle tele, dalle aule delle antiche università,
dalle scalinate dei palazzi civili, dall'eleganza umile di tanti borghi è questa la voce - oggi inascoltata, domani chissà - che ci parla attraverso il Tempo. Marc Fumaroli ha speso tutta la vita per invitarci ad ascoltarla.
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