The Whale del visionario regista Darren Aronofsky, presentato in concorso ieri a Venezia, è tutto girato all'interno di un'unica stanza abitata da un solitario insegnante che, durante le lezioni online, spegne la telecamera perché non vuole farsi vedere dagli studenti per via della sua gravissima forma di obesità. Nello spazio di quei pochi metri e del tempo che scorre implacabile, come una clessidra, verso le attese, se non cercate, complicazioni mediche, ha modo di riallacciare i rapporti con la figlia adolescente.
Basato sull'opera teatrale di Samuel D. Hunter è interpretato da un inedito Brendan Fraser in versione oversize: «Ho avuto un'illuminazione con lui perché per dieci anni non ho trovato l'attore giusto - ha detto il regista -. Ho avuto i brividi vedendolo interagire nelle prove a teatro con Sadie Sink (l'attrice della serie Stranger Things, ndr). Nel 2020, in piena pandemia, lo abbiamo girato, un piccolo film gentile con cinque attori». Ma Aronofsky non si è mai fatto spaventare dalle difficoltà: «Ho cominciato a fare cinema con 20mila dollari e un sogno, dunque i nostri limiti sono la nostra via per la libertà. Qui la sfida è stata di rendere cinematico un personaggio che non si muove, e al riguardo ho discusso molto con il mio sodale direttore della fotografia, Matthew Libatique».
Branden Fraser, reso celebre dalla saga di grande successo «La mummia», racconta come «la mobilità del protagonista si limiti al sofà, il suo trauma si manifesta a livello fisico. Ho dovuto imparare a muovermi in modo nuovo, usando muscoli mai utilizzati, e avevo le vertigini: bisogna essere particolarmente forti fisicamente e mentalmente per abitare quello spazio fisico».
Difficile ora per lui immaginare il suo stesso futuro: «La mia palla di vetro si è rotta, non so che cosa succederà nella mia carriera, ma sono felice di essere potuto entrare nel corpo di un'altra persona e di raccontarne la sua storia».
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