Tratto dall‘omonimo e acclamato romanzo di Meg Wolitzer (2003), "The Wife - Vivere nell'ombra" è un film del regista svedese Björn Runge e ha per protagonisti due giganti della recitazione, Glenn Close e Jonathan Pryce. Non è solo un racconto che scava nelle dinamiche di una coppia sposata da quarant'anni, ma anche un'esplorazione del rapporto tra finzione letteraria e realtà, tra ambizione e compromesso.
Joe Castleman (Jonathan Pryce), famoso romanziere, viene svegliato all'alba dalla notizia di aver vinto il premio Nobel per la letteratura. Nel viaggio verso Stoccolma per la cerimonia di premiazione, è accompagnato dalla moglie Joan (Glenn Close) e dal figlio maschio, David (Max Irons), scrittore in erba schiacciato dal mito paterno. L’occasione fa riaffiorare le questioni irrisolte di un matrimonio fondato sull'amore ma anche messo a dura prova dalle continue scappatelle di lui e da un patto segreto tra i coniugi. Complici la pericolosa insinuazione di un aspirante biografo (Christian Slater), che ritiene l'intera produzione letteraria di Castleman scritta dalla moglie, la situazione precipita.
"The Wife" ha una confezione di classe, una regia misurata e due interpreti di assoluta magnificenza, ma presenta uno script prevedibile e che richiama fin troppo quello di due pellicole recenti, «Big Eyes» di Tim Burton e «Un amore sopra le righe» di Nicolas Bedos. Ciò detto, l'intensa prova attoriale di Glenn Close vale da sola la visione del film. Dopo una carriera onorata da sei candidature all'Oscar e personaggi memorabili in opere come "Il grande freddo", "Attrazione fatale" e "Le relazioni pericolose", il fascino e il carisma della settantenne diva americana appaiono più fulgidi che mai. Nei panni di una moglie che ha scelto di spendere la propria esistenza all'ombra del marito, la Close illumina il film. Il personaggio presenta sfaccettature e ambiguità di cui si ha sentore soltanto attraverso il suo sguardo, ora rassegnato ora incandescente, unica variabile impazzita perché autenticamente viva in quella che è una fisicità repressa, schiava di piccoli gesti formali e di un'eleganza controllata. La compostezza di questa moglie devota e dai sorrisi blandi ha molto a che fare con la volontà di paralizzare o almeno occultare una parte di sé. Vittima dell'autoinganno di aver sedato la propria ambizione, la donna arriva a un punto di rottura in cui c'è spazio solo per recriminazioni e sconcerto.
Possedere un talento artistico spesso non si accompagna al talento di saperlo far fruttare e così la propria realizzazione prende percorsi non lineari in cui può capitare di scendere a compromessi con se stessi. Joan è convinta fin da giovane che la società sessista privilegi gli autori uomini, così decide di mettere da parte i suoi sogni per favorire il successo del consorte. Diverse digressioni temporali raccontano come da studentessa universitaria (col volto di Annie Starke, figlia della Close) si sia trovata a far parte di una coppia destinata a divenire tanto disfunzionale quanto solida. Tutt'altro che semplice musa dei romanzi di un uomo celebrato ma mediocre, diventa parte di un gioco che alla lunga presenta il conto. I quarant'anni vissuti in disparte, in silenzio, a lavorare come "kingmaker" (per usare le sue parole), l'hanno messa al riparo dal mondo ma non da un'insoddisfazione che la logora lentamente dall'interno.
Insomma, "The Wife" porge il gran bel ritratto di una donna intelligente ma che confonde l'amore col sacrificio e l'umiltà con l'annullamento di sé.
Un film vecchio stile, di quelli che restano addosso ancora un po' all'uscita dalla sala.
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