Ha appena lasciato passare il Primo maggio, poi se n'è uscito con una dichiarazione che ha scatenato mezzo mondo contro la Fifa. L'infausta presa di posizione appartiene a Gianni Infantino, l'uomo che continua la tradizione svizzera a capo del pallone mondiale, rinnovando le gesta di Sepp Blatter, uno che non se n'è uscito in modo elegante Di fronte a una domanda sui 6mila, 6mila e cinquecento, forse 7mila morti tra la manovalanza per costruire i fantasmagorici stadi nel deserto del Qatar destinati ad ospitare gli imminenti mondiali, il gran capo del calcio ha detto candidamente che «la Fifa non è la polizia del mondo e non può essere responsabile di tutto ciò che accade». Peccato che i signori di Zurigo non si siano mai posti lontanamente il problema di quanto stava accadendo nell'emirato, soprattutto alla luce delle numerose inchieste giornalistiche degli anni passati e delle segnalazioni delle agenzie che si occupano di diritti dell'uomo, a partire dai sistematici rapporti di Amnesty. Anzi, il buon Infantino ci tiene a farsi vanto del fatto che «la Fifa in questo modo ha dato lavoro a un milione e mezzo di persone che hanno potuto trarre beneficio dall'organizzazione dell'evento. Stiamo parlando di lavoro, anche di duro lavoro, ma quando dai lavoro a qualcuno gli dai dignità e orgoglio».
Certo, e di questo lo ringrazieranno sicuramente le decine di famiglie nepalesi, indiane, pachistane, bengalesi o cingalesi che si sono viste rimpatriare le salme dei loro cari, morti in tragici incidenti o addirittura stremati per il caldo e le condizioni disumane nelle innumerevoli baracche in cui erano ridotti a vivere. Per accettare i posti di lavoro creati dalla Fifa nei lussuosi uffici di Zurigo. Dove credono di essere dei filantropi.
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