Nostro inviato a Barcellona
Pensateci. È terzo. In classifica. Più o meno metà punti rispetto ad Hamilton in vetta a quota cento e fresco di vittoria numero quattro di fila. In fondo, se solo la Ferrari imparasse a fare la Red Bull, a saper recuperare, a raccapezzarsi in mezzo al marasma di questo mondiale rivoluzionario, Alonso potrebbe dirsi ancora in lotta per il mondiale. Ma non sarà. Non potrà.
Pensateci. Ultimi giri, due rosse davanti e due Mercedes dietro. Fottuto miraggio di fine primavera. Nessun dominio rampante, nessun profumo di vittoria. Le Ferrari sono sesta e settima, mestamente nel mirino delle frecce d'argento pronte al doppiaggio, un minuto e mezzo più veloci, primo Lewis, secondo Rosberg, secondo al traguardo e ora anche in campionato. Pensateci: un giro in più e a Raikkonen doppiato si sarebbe aggiunto Alonso. Vergogna, disastro, disperazione e però sarebbe cambiato poco. Perché il minuto e ventisette di distacco parla chiaro: è una freccia d'argento conficcata nel cuore del Cavallino rosso d'imbarazzo. E ora Monte Carlo, fra quindici giorni, dove le curve e l'assenza di veri rettilinei per liberare i cavalli turbo ibridi dei tedeschi cullano speranze in tutti e a Maranello di più. Monte Carlo che in fondo rappresenta l'unica vera svolta tecnica alla portata dei ferraristi: nel senso che a svoltare non è il team ma sono le caratteristiche del circuito. Fa male solo a scriverlo. Servono i Gp luna park per sperare. Tant'è vero che Alonso sul Principato ci spera, dice «sarà una delle poche occasioni dove provare a insidiare le Mercedes » nel senso che «le Red Bull potrebbero provarci » nel senso non noi, non le Rosse di oggi. Alonso a pezzi anche perché sa bene che il tracciato di Barcellona, per difficoltà e caratteristiche, riassume l'intero mondiale. È pista per cui si suole dire «se una monoposto va bene qui va bene ovunque ». E qui è stato un disastro. E un'apoteosi per le Mercedes i cui vertici gongolano nel paddock e dicono «sto 1.600 lo monteremo sulle nostre auto ». E un importante segnale di ripresa per le Red Bull con Ricciardo a podio e Vettel vittorioso nel suo personalissimo Gp contro la sfiga: fermo di venerdì, fermo nel q3 di sabato e retrocesso per la sostituzione del cambio e da quindicesimo a quarto la domenica. Che rimonta. Che accenni di buona macchina.
Pensateci. È un anno che la Ferrari non vince e sembra non poter vincere. Dodici mesi fa proprio a Barcellona, sì, qui, sulla pista verità, il trionfo segno di un'auto completa. Poi il cambio delle gomme, poi tutto quel che si è detto e scritto, poi i tecnici del Cavallino che non seppero reagire con prontezza ai mutamenti regolamentari a campionato in corso. Storia vecchia, storia da rivangare solo perché la Red Bull coccolata, viziata, furbetta, borderline di Newey quest'inverno neppure s'accendeva e adesso è lì che orgogliosamente ci prova. Ricciardo ha chiuso terzo a 49. Figlio di un dio motoristico minore ma primo del resto del mondo. Perché la Ferrari da un anno a questa parte non riesce a reagire? A gol incassato, ne prende altri. Mai che faccia come i tedeschi del calcio. Già, i tedeschi. Se c'è qualcosa che oggi in Italia fa male più di tutto è prenderle dalla Germania. Non è un facile nazionalpopolarismo, è una sofferta constatazione. Perché la Ferrari è sport ma è anche industria, tecnologia, è vanto, è fierezza. Avanti così e ci resteranno Dolce&Gabbana.
Pensateci. Ormai si consultano gli annuari della F1.
Quand'è stata l'ultima stagione in cui la Rossa non ha vinto una gara? Era in un'altra epoca, un altro decennio, letteralmente un altro secolo, era il 1993. Potrebbe essere il 2014. Lo pensano in molti, lo si legge nello sguardo impotente di Alonso, persino negli occhi dell'algido Raikkonen. Ferrarista doppiato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.