Agnelli al tutti contro uno nel silenzio di Inter e Milan

Il presidente della Juventus è un bersaglio facile. I vertici dei club milanesi mandano avanti gli altri

Agnelli al tutti contro uno nel silenzio di Inter e Milan

Sono tutti in piazza e sparano al bersaglio facile. Andrea Agnelli è l'orso del tiro a segno, previsto e prevedibile se le critiche provengono dalla stampa, imprevisto e imprevedibile quando le stesse giungano dal gruppo che gli stava di fianco, lo corteggiava, gli affidava ruoli, richiedendo consulenze e consigli, omaggiandolo e riverendolo. Altare e polvere, un classico dei pusillanimi. Aleksander Ceferin è il capopolo di questo corteo di ipocriti e codardi, lo seguono Jean Michel Aulas, presidente del Lione, non certo un esempio di generosità imprenditoriale, che dice di essere stato anche lui tradito dal presidente bianconero. Si aggiunge Zibì Boniek, appena nominato vicepresidente da Ceferin: «Agnelli mi ha tolto la stella dallo stadium, avrei mille cose da dire su di lui ma preferisco tenerle per me», ne basterebbero un paio ma possono prevedere che siano parole capricciose e infantili, furbe e non intelligenti di un ex juventino che ripudia, per rivalsa, tutto quello che porta i colori bianconeri. Dei pensieri raffinati espressi da Cairo si sa, così di altri partecipanti al festino attorno al massimo dirigente torinese, il quale, al di là degli errori commessi, ha due colpe specifiche, due peccati originali: è presidente della Juventus, dunque del club e della squadra già bollate della qualunque, dal doping alla corruzione, e porta il cognome più fascinoso e fastidioso di questo Paese abitato invece da imprenditori e politici amabili e trasparenti.

Tutti contro uno, dunque, mentre il resto della comitiva, fatta eccezione per il Real Madrid e il Barcellona, ha provveduto prima a nascondersi nel canneto quindi a riemergere per aggiungere i propri vili attacchi. Una vicenda abbastanza miserabile considerato la storia dei club, il censo e la professionalità (sedicente) dei dirigenti. Sono due i criminali del tentato colpo di Stato, Agnelli e Perez, non si hanno notizie di Scaroni o Zhang, per restare a casa Italia, forse erano stati plagiati da Agnelli, forse sono stati sequestrati nelle loro dimore e, una volta liberati, hanno potuto sfogare la loro rabbia. In verità, né il cinese né il presidente del Milan, come il suo Ceo Gazidis, hanno aperto bocca, il primo lasciando a Marotta, e a un veramente lucido Conte, il compito di mettere la faccia, mentre i secondi hanno consentito che Paolo Maldini apparisse come un ingenuo dirigente all'insaputa di tutto o quasi.

Per completare la farsa, l'avvocato Ceferin ha dichiarato che il nuovo numero 1 dell'Eca, Nasser Al Khelaifi, imprenditore qatariota e proprietario del Paris Saint Germain, «è una brava persona», dimenticando che l'Uefa lo aveva messo sotto controllo per operazioni contrarie al fair play finanziario, ancora oggi oscure e misteriosamente insabbiate. Ceferin minaccia ritorsioni nei confronti dei ribelli, ha un senso del regime più che del dialogo, forse si trascina qualche scoria del periodo di Tito e Kucan, il coro urla lo slogan di sempre il calcio è uno sport di tutti dove vale la meritocrazia.

Per chiarire l'ipocrisia e la menzogna dei manifestanti e depositari dell'etica, segnalo un esempio relativo al regolamento dell'Uefa: perché i vincitori dei campionati di Lussemburgo o di Andorra, di San Marino o del Nord Irlanda, assieme ad altri 40 campioni nazionali, non partecipano alla fase a gironi di Champions ma soltanto a quella di play off e di qualificazioni con turni successivi, mentre è iscritta di diritto la quarta classificata della serie A, della Premier, della Liga e della Bundesliga? È questo il merito sportivo o piuttosto non è un criterio legato al denaro? Perché i Tre Fiori sanmarinesi o i kosovari del Drita non hanno potuto e non hanno dovuto giocarsela con la Lazio o con le altre quarte o terze degli altri campionati d'élite?

Ora il gruppo dei ricchi farisei, italiani ed europei,

che ha circondato Andrea Agnelli scaricandogli addosso tutte le colpe, dovrà fare due conti, quelli veri, chiedendo aiuto allo Stato e alle banche. Per non perdere le buone abitudini, Ceferin si è aumentato lo stipendio.

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