Marsiglia - Se dobbiamo valutare questo Tour dall'applausometro, beh, meglio far finta di niente. Nessun applauso, né all'inizio né tantomeno alla fine della solenne y final conferenza stampa del Tour. La sala stampa è gelida, come la maglia gialla di Froome. Che arriva nel silenzio generale, come se entrasse la donna delle pulizie. Se ne esce dopo una mezzoretta alla chetichella, scortato dai suoi uomini, come se niente fosse. Non l'accenno di un «bravò», niente di niente. Quello che colpisce è che anche la stampa anglofona tace, inglesi in testa. Sarà che nel Regno Unito è un anno che hanno messo sotto tiro il team Sky per presunte pratiche sospette, fatto sta che questo silenzio assordante, che mai avevamo sentito negli ultimi venticinque anni di Tour, compresi i tre precedenti di Froome ha del clamoroso.
Come se non bastasse, anziché gli applausi, in questo Tour e anche ieri prima dopo e durante la cronometro di Marsiglia (vittoria del polacco Bodnar, davanti al connazionale Kwiatkowski e a Chris Froome, ndr), l'inglese è stato accompagnato da sonori «buuuu» e fischi prepotenti. Sarà perché si era in uno stadio di calcio, il Velodrome di Marsiglia dove gioca l'Olimpique, ma il pubblico si è calato perfettamente nella parte: dell'ultrà di calcio.
«I fischi? Credo che sia una cosa normale spiega Chris -, davanti c'era un beniamino francese (Romain Bardet, ndr), che lottava per la maglia gialla e il podio, ed è chiaro che facciano il tifo per lui. Ma io quest'anno ho sentito un calore e un sostegno eccezionale dal pubblico del Tour. Li voglio ringraziare, perché sono stati fantastici. Il loro calore e il loro affetto è stato una forza in più».
Le domande sono tante e incalzanti. Da "cosa ne pensa della Cina" - «Veramente io preferirei pensare a Parigi» - a "pensa già al quinto successo?": «Lasciatemi godere questo, che è stato difficile e tutt'altro che scontato. È stato certamente il più duro di tutti, perché il più incerto. Mi sono giocato tutto in questa crono di Marsiglia». A "dove ha sofferto di più?": «Sicuramente sui Pirenei, dove ho perso poco, ma ho rischiato di perdere di più».
Gli hanno chiesto anche del suo compagno di squadra, Mikel Landa, finito giù dal podio per un secondo, meno di 12 metri (alle spalle di Froome Uran a 54, Bardet a 2'20, Aru quinto a 3'05, ndr). «Se potevamo fare qualcosa di più come squadra per portarlo con me su podio? Non era nei nostri programmi», che fa coppia con quanto dichiarato dal diretto interessato, Landa: «Io sul podio? A loro non interessava».
Poi il sudafricano bianco, nato in Kenia e naturalizzato britannico, si lascia andare con un pensiero alla storia. «Essere lì ad un passo da mostri sacri come Merckx e Hinault, Indurain e Anquetil è davvero una cosa fantastica, da non credere. Sono lì, vicinissimo, e adesso con la squadra voglio capire come programmare la prossima stagione. Il Tour partirà una settimana dopo e ci saranno da fare alcune riflessioni, ma questo è il tempo della festa».
Gli chiedono come mai quest'anno, nei giorni di riposo, non abbia parlato volentieri con i giornalisti, in particolare della carta stampata.
Lui con un mezzo ghigno risponde: «Non possiamo fare troppe conferenze stampa, perché sono faticose. Ogni giorno, finita la tappa, si parla nella zona mista, e nei giorni di riposo si riposa. Altrimenti dovremmo chiamarle giornate stampa, ma non è così». Gelo.
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