I nuovi capi della F1 made in Usa e il licenziamento di Ecclestone stanno al Circus come Trump neopresidente e l'addio di Obama all'America tutta. Ovvero: nel mondo che corre a 300 all'ora monta la curiosità e cresce l'apprensione su quel che sarà. Ieri, Sergio Marchionne, Ad e presidente della Ferrari, illustrando i conti 2016 ha annunciato: «Sì, stiamo esplorando l'opportunità di acquisire una quota della F1, ne ho parlato con Liberty Media». Cioè i nuovi padroni che, forti degli 8 miliardi di dollari investiti per acquisire il giocattolo, già comandano col pugno di ferro e da tempo hanno proposto ai team di entrare nell'azionariato. Perché è questo il senso di tutto. Non è Maranello che si offre di comprare un pezzo di F1, ma è Maranello che valuta di accettare l'offerta a partecipare fatta dai nuovi padroni. A lei e a tutti i team.
Nel caso andasse in porto una simile operazione, si vedrebbe realizzato, benché in modo diverso, il progetto che l'ex presidente della Rossa, Luca di Montezemolo, aveva messo in pista nel 2009, con la costituzione dell'associazione dei costruttori di F1 (Fota) che voleva avere voce in capitolo nella gestione della serie e fra gli obiettivi aveva anche l'istituzione di un mondiale alternativo slegato da Fia ed Ecclestone. «Mi sembra positiva la decisione della nuova proprietà che gestisce la F1 ed è nella cultura e logica americana agire così. Se c'è uno che ha sempre sostenuto che i players andassero più coinvolti con una quota del Circus, quello sono io». Così Montezemolo al «Giornale». «La partecipazione azionaria - ha aggiunto - ha però senso solo se aperta a più team: perché il punto non è più solo di gestire, ma di condividere le strategie per il futuro di questo sport». Ovvero: ci sarà da capire se la Ferrari e gli altri potranno dire la loro.
Anche all'epoca c'era da ridiscutere con i padroni la ripartizione dei ricavi e i bonus milionari per la Rossa. Sono cambiati nomi e proprietari, ma il senso dell'uscita di ieri di Marchionne è più o meno lo stesso: annusata l'aria, il Cavallino cerca di proteggere i privilegi acquisiti, chiedendo chiarimenti. Infatti il presidente ha precisato: «Diventare un azionista senza voto non sapendo come il mondo sarà dopo il 2021 non è saggio... Una volta che ci sarà chiarezza su cosa Ferrari potrebbe ottenere, sarà molto più facile decidere...». È un business che, «se gestito bene, può garantire ricompensi per chiunque». Ergo: noi ci possiamo pensare ma prima diteci che fine faranno certi accordi, a cominciare dai bonus, dopo che nel 2020 scadrà il patto della Concordia.
Si parla di parecchi soldi. Nel 2016 la Rossa è stata la scuderia che ha ricevuto la fetta di ricavi più grande. Sui 965 milioni di dollari destinati a tutti i team, 192 sono andati a Maranello (105 di bonus per il peso del marchio in F1). Un cadeau, questo, previsto anche per altri big team, benché decisamente più basso. Dopo il 2020 le squadre temono di perdere questo bonus perché Greg Maffei, ceo di Liberty Media, e Chase Carey, neo presidente della F1, hanno più volte spiegato che «una più equa ripartizione dei ricavi fra tutti i team renderà i piccoli più competitivi, le gare saranno più belle e più show significherà più utili per tutti».
Quanto all'offerta di azioni, sembra che a coloro che dovessero accettare verrebbe ceduta una quota massima del 5% che, fra tutti i team aderenti, non potrebbe superare il 22%. Dunque, a comandare saranno sempre gli americani. Se con lo stile di Trump è ancora da vedere.
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