Bergamasco, l'icona azzurra del rugby vintage

Mauro Bergamasco da record, è al quinto mondiale: "Mi manca solo mio fratello Mirco"

Bergamasco, l'icona azzurra del rugby vintage

È un testimone del rugby vintage e allo stesso tempo un'icona del rugby moderno. Sono passati quasi 17 anni da quel 18 novembre 1998: due mete nel debutto azzurro contro l'Olanda nelle qualificazioni mondiali. E' alla sua quinta coppa del mondo (al via domani con Inghilterra-Figi, sabato tocca all'Italia), come lui solo l'ala samoana Brian Lima. Il cittì azzurro Jacques Brunel lo ha chiamato perché nella “rumenta” della mischia riesce a tirar fuori palloni che valgono tanto oro quanto pesano. Mauro non si sente arrivato, e tantomeno si accontenta: «Speriamo di giocarli questi mondiali. – dice in attesa della formazione anti-Francia - Per ora non c'è nessun bilancio da fare. Intanto sono qui con il gruppo grazie al lavoro che abbiamo fatto. Ora il secondo obiettivo è quello di giocare».

Per i Bergamasco il rugby è questione di famiglia. 205 le presenze azzurre tra Mauro, Mirco e il papà Arturo. In casa la lavatrice ha lavorato parecchio con la mamma che ha condiviso sin dall'inizio la passione ovale di marito e figli: «E' stata una comprensione totale. Nei momenti belli e in quelli più tristi li ho sempre sentiti al fianco – riconosce Mauro – A partire da mio fratello. Mi dispiace non averlo qui in Inghilterra. Dal 2002 ci avevo fatto l'abitudine a vederlo almeno nel gruppo dei 30. Ma mi ha sostenuto moltissimo anche in questa rincorsa verso il quinto mondiale e se potrò giocare questo risultato sarà dedicato anche a lui».

Petrarca, Treviso fino all'esperienza nel campionato francese e il ritorno in Italia prima con gli Aironi, poi con le Zebre. I capitoli della sua biografia snocciolano la sua maturazione come uomo e come giocatore. Mauro è un ragazzo senza fronzoli. Una grande forza morale che sul campo viene alimentata da una straordinaria motivazione. La meta contro il Galles e l'altro sigillo nella storica prima vittoria italiana sull'erba di Murrayfield nell'anno di grazia 2007 sono i flash indelebili della sua carriera in azzurro ma l'esperienza con lo Stade Francais gli è servita per mettere a fuoco il suo identikit di giocatore. «E' stata un'esperienza unica sul piano formativo. – riconosce - Mi ha permesso di giocare ad altissimi livelli in un contesto in cui anche il fattore umano aveva un peso non indifferente». E poi i maestri: «All'inizio il mio riferimento era l'inglese Neil Back, poi mio padre che è stato sempre un elemento di confronto. Ci sono stati diversi modelli… puoi metterci anche Jonny Wilkinson o Brian O'Driscoll».

Ma anche Mauro a suo modo ha tracciato una rotta. Come quando John Kirwan decise di buttarlo fuori dalla mischia, nel ruolo di mediano. Lui non si è scomposto, ha giocato ma poi ha cercato di capire le ragioni di una scelta fuori dall'ordinario. E' fatto così il Bergamasco e così è rimasto anche ora mentre aspetta la chiamata per il quinto debutto mondiale contro la Francia. «L'abbiamo vista. – dice - Hanno avuto un rodaggio di sostanza con due vittorie su tre con Inghilterra e Scozia. E non è roba da poco.

La conosciamo e penso che dovremmo mettere qualcosa in più a Twickenham per portare a casa questo match. Sono indecifrabili. Se sono in forma sono capaci di tutto, se sono in crisi sono pericolosi alla stessa maniera perché tendono a reinventare il loro rugby. Di una cosa sono sicuro: non sarà per niente facile».

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