A Rocca di Cambio, si cambia. Svolta e per la prima volta Egan Bernal, il malato immaginario del Giro, quello che l'anno scorso ha dovuto soffrire le pene dell'inferno per un dannatissimo mal di schiena dovuto ad una gamba leggermente più corta, ora è di rosa vestito. Da oggi i conti bisognerà farli con questo colombiano di 24 anni, cresciuto ciclisticamente in Italia (prima squadra la Androni Giocattoli, ndr), e vincitore due anni fa del Tour de France, che ieri sul traguardo abruzzese di Campo Felice/Rocca di Cambio ha fatto un colpo doppio: tappa e maglia.
Dopo una settimana di corsa e nove tappe bellissime quanto intese, il Giro trova il suo numero uno, quello che da Torino è partito proprio con il numero 1 sulla schiena. Spicca il volo su una strada sterrata che punta il cielo, abitualmente frequentata da sciatori e al termine di una tappa corsa a ritmo folle, si lascia tutti alle spalle, grazie anche al lavoro prezioso e inesauribile di una squadra super la Ineos Grenadier quella di Filippo Ganna e Gianni Moscon, per intenderci. A Bernal restano i 500 metri finali, come a Ronaldo calciare un calcio di rigore. Non può sbagliare e non sbaglierà il colombiano, con cinquecento metri irresistibili sullo sterrato per disegnare la giornata perfetta. «È una maglia che volevo tanto dice questo ragazzo nato il 13 gennaio come il suo idolo Marco Pantani -. È un'emozione enorme vestire questo simbolo, e se ripenso a tutti i sacrifici che ho fatto per essere qui mi vien da piangere, come ho già fatto dopo l'arrivo e dopo aver baciato la mano di Moscon (detto il trattore, ndr) apripista ideale in un finale così.
In questo Giro che trova il suo padrone e il suo equilibrio, in questo Giro pazzesco e di rara bellezza, ci siamo anche noi. Noi italiani. La piccola Italia esiste e resiste, rialza la testa ed è lì. Oltre al regolarista Damiano Caruso, promosso sul campo a leader del Team Bahrain dopo il forzato abbandono di Mikel Landa e capace in carriera sempre da ruota di scorta di portare a casa piazzamenti importanti nei Grandi Giri (8° al Giro nel 2015; 11° e 10° al Tour nel 2017 e 2020; 9° alla Vuelta nel 2014, ndr), c'è anche lui, lo scalpitante Giulio Ciccone. Uno che sa solo attaccare, ma in una corsa di tre settimane questa cosa non sempre è un dono, anzi. Se Caruso è il regolarista, Ciccone che ieri ha chiuso alle spalle di Bernal e ora veleggia in 4° posizione nella generale, deve imparare a temporeggiare. E ieri, pilotato magistralmente da Nibali, non ha sbagliato assolutamente niente. «Sono soddisfatto così, ho corso bene dice l'abruzzese -.
Il mio modo di correre? Mi piace andare all'attacco ma adesso ho capito che vado abbastanza forte e quindi negli ultimi giorni ho cominciato a correre in modo diverso, per me è iniziato un altro Giro». Insomma, l'Italia c'è.
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