Lei non ci sente. Fa spallucce, proprio. “Le cose stanno così”, rivela ticchettando con l'indice sul microfono per assicurarsi che il mondo intero la senta, “o ci pagate allo stesso modo, oppure il prossimo anno non mi presenterò agli US Open”. Poi tira su la montatura scesa in punta di naso e slaccia un sorriso. Un missile balistico conficcato nel bel mezzo del 1972. A scagliarlo, con la grazia che ne contraddistingue il tennis pulito e disinvolto, è stata Billie Jean King, campionessa sublime, femminista coriacea, una passione smodata per la difesa delle categorie scaricate ai lati della strada.
Immaginate la scena. Richard Nixon che quasi si strozza mentre trangugia il pranzo in Pennsylvania Avenue. Milioni di morigerati americani che arricciano il naso. Un’onda d’urto che raggiunge anche il Vecchio continente, sollevando polveroni inestricabili. La colpa della zelante Billie? Aver chiesto che le tenniste donne incassino vincite equiparate a quelle dei maschi. Apriti cielo.
C’è anche dell’altro, più a monte. Certo King contesta il maschilismo imperante, quello - gretto e osceno - che vorrebbe relegare le femmine a semplici spettatrici della vita, con l’unico compito di custodire amorevolmente la prole. Ma non solo. Tenace e coraggiosa, Billie imposta una battaglia che oltrepassa le pari opportunità, per affermare il tema della libertà sessuale. Non è un mistero, del resto, il fatto che frequenti Marylin Barnett, la sua parrucchiera personale. Altro boccone impossibile da deglutire nell’America puritana e perbenista di cinquant’anni fa.
Così, quando l’ex tennista Bobby Riggs - ormai un cinquantacinquenne contagiato dalla piaga delle scommesse - lancia una provocazione insopportabile lei dapprima tentenna, poi accetta la sfida. La vicenda è stata ritratta anche in una recente pellicola di successo, come Emma Stone e Steve Carrell nel ruolo dei protagonisti. Riggs, machista convinto, ritiene che sia il caso di piantarla con gli ammorbanti teatrini sulla parità ad ogni costo: il tennis femminile - gonfia il petto - è talmente inferiore a quello maschile che anche un giocatore di talento come lui, ma ritirato da un pezzo, potrebbe impartire una lezione durissima alla migliore tennista in circolazione. Game, set, match? Nemmeno per idea.
A dire il vero, al singolar tenzone, Riggs invita da subito King. Non è un caso: la vecchia volpe sa bene che sconfiggerla significherebbe assestare una spallata a tutto quello che la ragazza rappresenta. Billie ci rimugina fin troppo e allora la prima vera “Battaglia dei sessi”, come ebbe a definirla la stampa dell’epoca, va in scena contro la numero uno al mondo, Margaret Court. Quando la King si allaccia al tubo catodico una rabbia insopprimibile inizia a fare avanti e indietro nelle viscere. Court è sconfitta. Riggs gongola. No, non può passarla liscia.
Il 20 settembre 1973, alla Reliant Arena di Houston, si fanno i conti. Trentamila spettatori appollaiati sugli spalti. Novanta milioni di anime incollate alla tv. Ce ne sarebbe abbastanza per vacillare, ma Billie, sei volte sollevatrice del trofeo di Wimbledon ed asso incontrastato del serve and volley, ha studiato a fondo l’avversario. La tattica è nitida: sfiancare l’uomo di mezza età costringendolo a correre sovente a rete. Funziona. Già durante il secondo set Riggs ciondola penosamente. King vincerà nettamente, imponendo il suo ritmo con un 6-4, 6-3, 6-3. Ancora non può saperlo, ma qualche anno dopo Sir Elton John le dedicherà Philadelphia Freedom. Per ora torna a casa allargando un sorriso.
Sul sedile posteriore del taxi accarezza la racchetta di legno, sfila gli occhiali e soffia via la tensione, socchiudendo le palpebre. La fronte è premuta contro il finestrino. Gli occhi diventano acquosi. Molto più di un semplice match point.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.