Boninsegna: "Martedì l'avevo sentito rassegnato"

"Divertente, mai arrabbiato, difficile farlo stare zitto. Un amico. Era lui a dare forza agli altri"

Boninsegna: "Martedì l'avevo sentito rassegnato"

Due da grande Inter. Ma quella grande per definizione la vissero da ragazzini. Poi ci fu quella Inter. Dove non se la passarono male, problemi di spogliatoio a parte. Mauro Bellugi ieri se n'è andato. Bobo Boninsegna, 77 anni, sei in più dell'amico, è rimasto qui a ricordarlo. «Vincere è volgare, se non sai anche perdere», sembra una battuta di Bellugi. Ma in realtà è il titolo di un libro che ha firmato. Quella battuta, però, non gli piaceva più di tanto.

Boninsegna, che tipo era Bellugi?

«Un amicone, divertente, mai arrabbiato. Difficile farlo star zitto. L'ultima parola era la sua. Abbiamo fatto tante vacanze insieme: ricordo in Brasile con le famiglie».

Così fuori campo. In campo?

«Ogni tanto gli tiravo le orecchie. Aveva gran piedi, piedi da attaccante. E, a volte, esagerava. Si permetteva di fare un pallonetto in area: cose da tremare».

Nessuno si infuriava?

«Gli dicevo sempre: se scivoli, e chissà che rischi, comincia a correre. E lui sorrideva: tanto non mi prendi».

Che Inter era?

«Dopo il ciclo della grande Inter, cominciava una nuova era».

Bellugi, come lei partito dalle giovanili, era stopper di valore. Un jolly della difesa, dopo il duo Guarneri-Picchi...

«Un difensore anomalo, sovrastava per qualità tecnica e si fidava così tanto delle doti che, talvolta, si dimenticava di marcare. Era bravo di testa, nell'anticipo. Giocava al centro o sulla destra. Forse troppo buono: ogni tanto qualche legnata...».

Disputò solo un mondiale in nazionale: Argentina '78.

«Fu il suo unico vero mondiale. Eravamo insieme in quello della Germania nel 1974: mai impiegati. Per come sono andate le cose, era meglio se avesse giocato».

Andò via da Milano, si racconta, per dissidi con Mazzola.

«Una storia di tutti. Chi non aveva un rapporto difficile con Mazzola? Compreso il sottoscritto».

Con lei cosa successe?

«Ero tornato all'Inter con Fraizzoli perché, via dal Cagliari, mi piaceva l'idea di riprovare. Vidi Sandro che voleva fare il regista, ma non era il suo ruolo. Gli dicevo: nel mondo ce ne sono più bravi di te. Tu sei da pallone d'oro in altro ruolo, così puoi essere più utile alla squadra: a lui piaceva dribblare. Non apprezzò l'idea. Giocò grandi Europei con Valcareggi: non come regista. Voleva la regia. Ricorderete la storia della staffetta in Messico: assurda».

Bellugi emigrò a Bologna.

«Fu un errore. Una volta sua moglie mi disse: se non trova squadra, lo faccio giocare in giardino».

Nell'ultimo anno il destino gli aveva voltato le spalle.

«Lui aveva gran forza di carattere.

Dava forza agli altri. Sapeva che avrebbero dovuto operarlo nuovamente per un'infezione. L'ho sentito martedì, ma qualcosa era cambiato: era meno baldanzoso, un po' rassegnato. Se n'è andato un amico. Peggio di così, cosa dire?».

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