L'Italia di Mancini ieri sera a Napoli ha messo a segno un altro record. Per la prima volta nella storia azzurra il centravanti della Nazionale è stato praticamente uno sconosciuto. Alzi la mano, infatti, chi prima di ieri aveva visto giocare Mateo Retegui, ventitreenne centravanti del Tigre di Victoria, non una delle primissime squadre del calcio sudamericano. Eppure, il ct è riuscito a dare la teorica maglia 9 più amata d'Italia a questo argentino con un bisnonno di Canicattì, un ragazzo che sarà anche bravissimo, ma che fin qui aveva detto ben poco ai tifosi della Nazionale. Se non altro, il ragazzo ha ricambiato tanta fiducia segnando. Certo, beati i tempi in cui nei bar si discuteva se fosse meglio Anastasi o Boninsegna, Rossi, Graziani o Pruzzo, Vialli o Serena, Vieri o Inzaghi, ma poi è inutile stupirsi se l'ennesima convocazione di un oriundo misterioso ha scatenato polemiche e interrogativi. E inutile anche salvarsi in angolo dicendo che in fondo fanno così pure il basket e il rugby. Ma vogliamo mettere il potenziale bacino del nostro sport nazionale, quello che riempie gli stadi e di cui c'è il monopolio nelle radio e nelle tv? Certo, il basket azzurro ha ottenuto l'ok di Paolo Banchero, americano di origini italiane, ma almeno siamo di fronte a un fenomeno emergente della Nba. E poi ne utilizza uno solo
Nel rugby ci stiamo esaltando per Ange Capuozzo, napoletano di Grenoble, erede dei Dominguez e dei Castrogiovanni, ma qui peschiamo all'estero perché i rugbisti cresciuti in Italia non sono certo tanti quanti i calciatori (il rapporto è di oltre 10 a 1). E poi nel rugby internazionale la discutibile regola degli equiparati (va in Nazionale chi gioca nel campionato da almeno 3 anni) sta facendo saltare ogni logica di appartenenza.
Ma tornando al basket, in passato i pochi oriundi o naturalizzati hanno avuto almeno i nomi di Mike D'Antoni e Gregor Fucka, mentre nel calcio che segno hanno lasciato i Ledesma e i Paletta, gli Amauri e i Vazquez, gli Osvaldo e i Joao Pedro?
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